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L'eventuale condanna di Mubarak non farebbe onore al nuovo Egitto


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L’eventuale condanna a morte di Mubarak, accusato insieme ai suoi collaboratori di aver ordinato di sparare e uccidere manifestanti durante la Rivoluzione del 25 gennaio, non farebbe onore al nuovo Egitto. Perché la conquista della democrazia non può passare attraverso la morte.

Abbiamo accolto la primavera araba come una prova di maturità di alcuni Paesi a voler sostenere - in alcuni casi con successo – il risveglio delle libertà fondamentali e la rivolta contro antiche oppressioni. Abbiamo dato la nostra fiducia a coloro che hanno rotto uno schema rigido e fino ad allora difficilmente sovvertibile, e che hanno provocato una scossa positiva per il futuro politico e sociale  dei Paesi arabi all’insegna della democrazia e della cultura dei diritti. I social network, simbolo dei tempi che cambiano, sono diventati nell’ultimo anno il nucleo di una società in evoluzione.

La primavera araba ci ha dimostrato quanto possa essere forte e inarrestabile l’autodeterminazione dell’individuo e che nessun leader politico può restare al potere a scapito del suo stesso popolo.
Alla luce di questi cambiamenti, oggi chiedo all’Egitto, laddove la situazione resta purtroppo ancora pericolosamente confusa – di provare a far sentire questa prova di maturità, di guardare avanti anziché al passato e di vietare che venga inflitta una punizione disumana e crudele, come la pena di morte, all’ex presidente Hosni Mubarak.

Ho sempre e fermamente sostenuto l’abolizione della pena di morte come il fondamento di ogni democrazia.  Non è la soluzione, e molti esempi recenti possono confermarcelo. Oggi l’Egitto e gli egiziani hanno la possibilità di puntare verso un obiettivo inestimabile di civiltà. Ed è per questo che continuo ad avere fiducia in loro, così come ho fiducia nelle nostre istituzioni, il Ministero degli esteri in primis, affinchè in coerenza con le battaglie ed i successi ottenuti dall’Italia negli ultimi anni, possano continuare a battersi contro la pena di morte e possano aiutare gli egiziani a colmare questa lacuna nel rispetto universale dei diritti umani.
Franco Frattini

LA NOTIZIA
Il Cairo, 4 gen . - Al processo in corso presso l' Accademia di Polizia del Cairo a carico di Hosni Mubarak per omicidio e corruzione, la Procura Generale egiziana ha chiesto la pena di morte per l' ex Rais, per Habib al-Adly, gia' ministro dell' Interno, e per altri sei co-imputati, tutti comandanti delle forze di sicurezza sotto il passato regime . L' accusa nei loro confronti e' quella di non aver evitato l' uccisione di 850 manifestanti a partire dal 25 gennaio scorso e nei giorni successivi, in occasione delle proteste di piazza che l' 11 febbraio avrebbero infine condotto alla caduta diMubarak . Secondo il procuratore capo Mustafa Sulayman, infatti, l' ex presidente dell' Egitto non diede di persona l' ordine di uccidere, ma non impedi' al proprio ministro dell' Interno di far sparare sulla folla, e non lo destitui' una volta conosciuti i fatti . Quanto ad Adly, a parere di Suleyman sussistono prove inconfutabili della sua colpevolezza, suffragate dalle testimonianze di alti gradi delle gerarchie del dicastero: la strategia del ministro fu di affrontare i dimostranti con qualunque mezzo . La Procura ha inoltre lamentato la scarsa collaborazione alle indagini da parte di vari organi statali, come lo stesso ministero dell' Interno e l' Autorita' per la Sicurezza Nazionale . Dalla richiesta della pena capitale sono stati esclusi solo i figli di Mubarak, Alaa e Gamal, nella circostanza finiti alla sbarra unicamente per corruzione .

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Pubblicato da Franco Frattini il giorno 4.1.12. per la sezione . Puoi essere aggiornato sui post, i commenti degli utenti e le risposte utilizzando il servizio di RSS 2.0. Scrivi un commento e partecipa anche tu alla discussione su questo tema.

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