Prima dell’udienza generale, saluto di Papa Francesco al Presidente della SIOI e alla Fondazione Nizami Ganjavi, impegnate nella promozione del dialogo tra culture e popoli

Papa Francesco:"La Cultura del dialogo è la via maestra"... “promuovere la pace nel dialogo e nel mutuo rispetto” 

  
Prima dell’udienza generale di mercoledì 27 novembre, il Papa ha incontrato il Presidente della SIOI Franco Frattini e i partecipanti al diciannovesimo incontro di alto livello promosso dalla Fondazione dell’Azerbaigian Nizami Ganjavi International Center (ngic) e dalla SIOI , che si svolge a Roma fino al 28 novembre sul tema «Libertà dalla violenza: pace, sicurezza e prevenzione del conflitto nell’agenda per lo sviluppo 2030». 



Papa Francesco ha indicato” nella cultura del dialogo” la via maestra da seguire “per crescere nella fratellanza tra le persone”



Il Discorso del Papa

"Gentili Signore e Signori, vi do il benvenuto e vi ringrazio cordialmente per la vostra visita, in occasione degli incontri che la Fondazione Nizami Ganjavi tiene a Roma. Mi congratulo con voi per l’impegno di trattare le principali sfide attuali allo scopo di promuovere la pace nel dialogo e nel mutuo rispetto, traendo ispirazione dal grande poeta del XII secolo che dà il nome alla Fondazione. Lo fate mettendo al servizio della comunità mondiale i valori e le esperienze maturati assolvendo gli alti incarichi che avete ricoperto nei rispettivi Paesi. In particolare, auguro il miglior risultato al contributo che intendete offrire sulla sfida del cambiamento climatico. Vi incoraggio a proseguire su questa strada, nella persuasione che la cultura del dialogo è la via maestra, la collaborazione è la condotta più efficace e la conoscenza reciproca è il metodo per crescere nella fratellanza tra le persone e i popoli (cfr Documento sulla Fratellanza Umana, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019). Grazie ancora a tutti voi. Dio benedica il vostro lavoro, i vostri popoli e l’intera famiglia umana. Grazie tante."









Fonti e info: 



9.12.19 | Posted in , , , , , , , , , , , , , | Continua »

La SIOI e il Ministero dell'Interno hanno siglato un Protocollo d'Intesa per istituire una partnership strutturata volta alla formazione dei Funzionari ed Ufficiali della Scuola per le Forze di Polizia


La SIOI e il Ministero dell'Interno hanno siglato un Protocollo d'Intesa per istituire una partnership strutturata volta alla formazione dei Funzionari ed Ufficiali della Scuola per le Forze di Polizia



Roma, 9 dicembre 2019

Il Presidente della SIOI, Franco Frattini e il Capo della Polizia, Prefetto Franco Gabrielli, hanno siglato il protocollo lo scorso 29 novembre, alla presenza del Ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese. 

“Con la collaborazione della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (SIOI), è stato pianificato un articolato percorso addestrativo per funzionari e ufficiali, che consentirà loro l’acquisizione dell’expertise necessario a ricoprire posizioni sempre più di vertice in seno ad organismi internazionali e, in particolare, alle istituzioni europee che operano sul fronte della sicurezza.” 





Queste le parole del Gen. D. G. di F. Giuseppe Bottillo, Direttore della Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizia, durante il suo intervento, il 3 dicembre scorso, in occasione della cerimonia di apertura dell’Anno Accademico 2019/2020, che si è svolta alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella



9.12.19 | Posted in , , , , , , , , , , , | Continua »

Discorso pronunciato dal Presidente Frattini in occasione dell’Udienza al Quirinale - XIX Incontro di Alto livello sul tema "Libertà dalla violenza"


XIX INCONTRO DI ALTO LIVELLO LIBERTÀ DALLA VIOLENZA: PACE, SICUREZZA E PREVENZIONE DEI CONFLITTI NELL'AGENDA 2030 PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE. ROMA, ITALIA 27-28 NOVEMBRE 2019.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto al Quirinale una delegazione di partecipanti al XIX incontro di Alto livello sul tema "Libertà dalla violenza: pace, sicurezza e prevenzione dei conflitti nell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile", organizzato dalla Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale (SIOI) e dal Centro Internazionale Nizami Ganjavi (NGIC)

Dopo gli interventi del Presidente della SIOI, Franco Frattini, e dei Co-Presidenti del NGIC, Vaira Vīķe-Freiberga e Ismail Serageldin, il Presidente Mattarella ha rivolto un saluto ai presenti. 

Di seguito il discorso integrale pronunciato dal Presidente Frattini in occasione dell'Udienza al Quirinale: 

Quando – sessantadue anni fa – i Padri fondatori dell’Europa decisero di dare vita al sogno europeo e al progetto di integrazione, essi indicarono la pace e la prosperità come gli obiettivi da garantire ai cittadini europei dopo le tragedie della seconda guerra mondiale. Quell’obiettivo per noi cittadini d’Europa si è realizzato perché l’Europa è stata l’unica regione del mondo che in questi sessantadue anni non è stata mai attraversata da crisi e conflitti violenti come purtroppo – anche vicino ai nostri confini – abbiamo potuto vedere altrove. Ma quel messaggio di pace e di prosperità purtroppo non è stato e non è raccolto, ancora oggi, in molte parti del mondo. 

Assistiamo a crisi gravi, a dispute territoriali, ma anche a gravissimi fenomeni di diffusione del terrorismo internazionale che predica l’uc­cisione dell’uomo da parte di altri uomini e, ancora, alla proliferazione degli armamenti, anche di quelli nucleari; la pace e la sicurezza sono minacciate, quasi come una bomba a orologeria per quella minaccia che il Santo Padre, Papa Francesco, ha un giorno definito una Terza Guerra Mondiale disseminata a macchia di leopardo. È evidente che dove ci sono le armi non ci sono i commerci, non c’è la prosperità, non c’è la crescita delle società e tantomeno il superamento della povertà e la disperazione; e dunque l’insicurezza e il pericolo dei conflitti costituisce il principale ostacolo alla crescita e prosperità delle società in ogni parte del mondo. 

L’enorme commercio internazionale delle armi non porta né benefici né ricchezza né progresso, salvo l’arricchimento dei mercanti di armi, che spesso sono Stati sovrani. La proliferazione nucleare e la pericolosa ripresa degli esperimenti per avvicinarsi alla realizzazione di nuove bombe atomiche costituisce un ennesimo fattore che impoverisce i popoli e arricchisce Stati bellicosi. Molti tradizionali ruoli di leadership nel mondo stanno cambiando. 

Una politica americana ripiegata in sé stessa, una politica cinese di forte espansione e di grande proliferazione anche nel settore degli armamenti, un’azione della Russia verso aree del mondo dove il terreno abbandonato da altri viene occupato da Mosca ed un ruolo – purtroppo – debole e assente in molti scenari di crisi dell’Unione Europea. 

L’appello che i leaders, che i responsabili delle azioni degli Stati e dei governi dovrebbero moltiplicare a voce sempre più alta è “Fermatevi!” Fermate l’escalation militare, fermate il ricorso alla violenza che sostituisce il dialogo e la crescita. Fermate l’intolleranza e ponete la persona umana al centro di tutto. Cerchiamo un nuovo umanesimo che dia risposte alla sicurezza di ogni essere umano, non a scapito della sicurezza degli altri ma nel perseguire un bene comune a tutti. 

L’incontro tra laici e religiosi, tra governi e organizzazioni internazionali, tra Stati e società civile, anzitutto con il protagonismo dei giovani, sia il modo per risvegliare una Comunità internazionale dove la mancanza di leadership è spesso collegata alla carenza di risposte concrete e quindi alla crescita di sentimenti di disperazione, di intolleranza, di frustrazione che colpiscono nel mondo, milioni e milioni di persone. 

Ho sempre in mente, da italiano, l’appello del Presidente De Gasperi, padre fondatore dell’Europa: “Un politico guarda soltanto alle prossime elezioni, un uomo di Stato guarda alle prossime generazioni”. Generazioni che non ci perdoneranno, se non si agisce ora! 






29.11.19 | Posted in , , , , , , , , , , , | Continua »

Khamenei imbavaglia gli iraniani, ma continua a twittare. La lettura di Frattini (Sioi)

Khamenei imbavaglia gli iraniani, ma continua a twittare. La lettura di Frattini (Sioi) 



"Paradosso dei paradossi, il regime ha imbavagliato i suoi cittadini, ma mentre cerca di soffocare le proteste, Khamenei continua a twittare la sua linea". Conversazione con l’ex ministro degli Esteri sulla crisi iraniana, le proteste e la loro dimensione regionale 

L’Iran, il Golfo e il Medio Oriente: regione nevralgica quanto turbolenta, delicata e complessa. Le manifestazioni per le strade della Repubblica islamica in questi giorni sono un elemento centrale del momento, che si allineano a qualcosa di simile visto in Iraq e Libano. Altre tensioni con sullo sfondo l’aumento del confronto tra il blocco saudita e l’internazionale sciita che Teheran ha tentato di creare.  

Cosa sta succedendo? “Lo scontro tra i due blocchi si sta intensificando, con Riad che ha molti meno problemi a giocare influenza e l’Iran che si sente costretto a costruire quelle penetrazioni regionali attraverso attori proxy”, spiega a Formiche.net Franco Frattini, tra i tanti ruoli ricoperti, presidente della Sioi, già ministro degli Esteri. 

Repressioni e morti: la teocrazia iraniana ha per il momento spinto per schiacciare le proteste, ma cosa c’è dietro alle dimostrazioni di questi giorni scatenate dagli aumenti del carburante alla pompa? “Questa decisione di riduzione dei sussidi sul carburante è uno dei casi non frequenti in cui personalmente Ali Khamenei (la Guida Suprema, l’apice del sistema teocratico iraniano, ndr) ha seguito, si è interessato e si sta interessando alla situazione. Differentemente dalla norma in cui la Guida non è mai troppo coinvolta direttamente. Dalle sue dichiarazioni si comprende che la sua attenzione è molto forte”. 

“D’altra parte — aggiunge l’ex ministro — si è capito che una buona parte del Parlamento iraniano aveva chiesto di aiutare le categorie più deboli prima di far entrare in atto questa decisione. C’era dunque la sensazione che si potesse scatenare qualcosa, ma ciò nonostante sia la Guida sia la presidenza sono andate avanti”. 

Perché? Cosa ha portato la leadership iraniana a spingere, con la forza e la mano pesante, col rischio di attirarsi addosso vari riflettori? “Khamenei non è la prima volta che fa appello alla riduzione dello spreco energetico. La ritiene una necessità. Dal 2014 la Guida ha sempre sostenuto il dovere di limitare l’uso di automobili e carburante, secondo alcuni dati l’Iran ha un consumo pro-capite di energia superiore di diverse volte a quello della Turchia, per esempio, che è un paese molto più avviato”. 

Ma non è l’impronta verde della Guida a produrre questa necessità, giusto? “Khamenei sa da tempo che le sanzioni creano per l’Iran la possibilità concreta di dover importare carburante. Una cosa assurda per un paese produttore, ma che può diventare reale. L’Iran sta perdendo la sua autosufficienza energetica, le misure sanzionatorie lo hanno bloccato anche dal punto di visto dell’importazione delle tecnologie estrattive”. 

“Per questo Khamenei chiede di limitare i consumi. Bisogna capire la storia di queste misure dunque — aggiunge Frattini — e leggere i motivi di questo impegno personale della Guida, seguito nonostante gli dicessero di fare prima misure compensative anche dal parlamento conservatore“. 

Poi c’è anche il contesto pre-elettorale ad avere un peso? “È un’altra cosa importante da ricordare: nella primavera del prossimo anno ci sono le elezioni. Le forze si stanno posizionando, certamente. Sebbene questa protesta è senza una forza dietro, senza leader, non è pilotata. In questo è del tutto simile a quelle in Iraq e Libano. Gli iraniani, come iracheni e libanesi, ce l’hanno con l’intero establishment. Non a caso la prima mossa attuata dal regime è stata bloccare Internet, i social, perché Khamenei sa bene come le Primavere Arabe si sono sviluppate”. 

Sigillare Internet per impedire che le informazioni su quel che succede escano creando anche un effetto contagio… “Noi dall’Occidente non abbiamo un’idea completa di come accadano le cose, perché abbiamo solo due voci. I dissidenti, con parenti sul posto, che riferiscono di proteste oceaniche. Poi abbiamo le analisi delle ambasciate, che danno invece una immagine di moderazione. La cosa certissima è che non sarà questo che farà cadere il regime“. 

A proposito di Iraq e Libano, occasione per allargare la riflessione: a Beirut e in diverse città irachene abbiamo visto proteste che riguardavano anche l’Iran, il piano di penetrazione in altri Stati della regione, giocato attraverso proxy politico-militari strutturati sul modello dei Pasdaran. Finora ha retto forse, ma adesso? “Adesso, e lo vediamo in un Paese come l’Iraq, questa infiltrazione, lì molto forte, non è affatto gradita. Ricordiamo che alle ultime elezioni irachene il chierico-politico sciita Moqadta al Sadr, un tempo molto collegato agli ayatollah iraniani, ha vinto le elezioni con un motto semplice: fuori gli iraniani dall’Iraq”. Lo stesso che i ragazzi iraniani ripetono in queste settimane… “Nessuno apprezza più questa ambizione da potenza regionale, ma l’Iran continua ad averla perché se perde la presa sa che l’Arabia Saudita ha campo libero. Perché i sauditi hanno molto meno problemi a giocare influenza”. 

Un ruolo abbastanza attivo, o proattivo, in queste proteste lo stanno avendo gli Stati Uniti. Washington ha detto di essere dalla parte dei cittadini iraniani. Il dipartimento di Stato, che ha sanzionato il ministro iraniano della Tecnologia e delle Telecomunicazioni (Jazari Jahromi, un politico giovane e in realtà piuttosto apprezzato in Iran), sta chiedendo la riapertura di Internet; il segretario di Stato, Mike Pompeo, ha chiesto ai manifestanti iraniani di inviare i loro video, foto e informazioni che documentano la repressione del regime nei confronti dei manifestanti così che gli Usa “possano esporre e sanzionare gli abusi”. 

Secondo Frattini è una posizione “abbastanza naïf”: “Gli americani non comprendono che così facendo rischiano di danneggiare gravemente i manifestanti e gli oppositori, perché in Iran se c’è una cosa che mai, malgrado i cambiamenti dei regimi, non è mancata è l’orgoglio nazionale. Loro si sentono grande potenza, discendono dalla Grande Persia, e questa è l’unica cosa su cui non si può fare leva. Non a caso sia il governo che la Guida fanno ruotare la retorica per disinnescare le proteste dicendo che sono le forze straniere che vogliono mettere in crisi il messaggio khomeinista”. 

 “Forse — aggiunge l’ex ministro italiano — gli Stati Uniti però potrebbero prendere posizioni forti, basterebbe un gesto netto ma altamente simbolico: far in modo di oscurare il profilo Twitter di Ali Khamenei. Andare sul concreto mettendolo a tacere per via delle repressioni. Perché, paradosso dei paradossi, il regime ha imbavagliato i suoi cittadini, ma mentre cerca di soffocare le proteste, Khamenei continua a twittare la sua linea”.

25.11.19 | Posted in , , , , , , , , , , , , , , | Continua »

GUERRA IN SIRIA/ Frattini: gli errori dell’Ue che hanno regalato Erdogan alla Russia

GUERRA IN SIRIA/ Frattini: gli errori dell’Ue che hanno regalato Erdogan alla Russia 

02.11.2019 - int. Franco Frattini 



Il Medio Oriente è in totale subbuglio, con Erdogan che guarda a Est. Gli errori e le colpe del disastro 

Il Medio Oriente è in subbuglio e i focolai di conflitto si moltiplicano. Il centro della destabilizzazione è la Siria, che ha visto il riaccendersi degli scontri dopo l’ingresso nel suo teatro della Turchia di Erdogan, con la scusa di voler allontanare i curdi. Ma come siamo arrivati al disordine attuale? Analisti ed esperti militari sono concordi nell’individuare la causa scatenante dello sconquasso mediorientale: la guerra in Iraq del 2003. E oggi, perché la Turchia, in quegli anni vicina all’Europa, ora guarda a Est e pratica una politica di potenza? Perché l’Europa ha ormai abbandonato ogni prospettiva di coordinamento in politica estera? Il Sussidiario ne ha parlato con un protagonista della politica estera di quegli anni, Franco Frattini, per due volte ministro degli Esteri ed ex vicepresidente della Commissione europea, che offre una chiave di lettura in retrospettiva capace di portare al cuore e alla radice del caos mediorientale attuale. 

Analisti e militari concordano che la guerra in Iraq nel 2003 ha destrutturato il Medio Oriente, portando al caos che vediamo. Lo conferma? 

Questo è esattamente ciò che mi disse l’allora presidente egiziano Hosni Mubarak. L’Egitto era uno dei più forti alleati dell’Occidente. Mi confidò: “La missione in Iraq, con l’azione unilaterale anglo-americana, creerà i presupposti per lo scardinamento degli equilibri dell’area”. Noi non gli credemmo, anche se bisogna ricordare che l’Italia è arrivata in Iraq dopo la delibera Onu, perché la nostra Costituzione impedisce di partecipare ad azioni di guerra. Ma non è stato l’unico errore, forse neanche il più grande. 

E quale sarebbe stato questo sbaglio?

Una volta assunto il controllo dell’Iraq, gli anglo-americani hanno identificato il partito Baath con Saddam Hussein, come se tutti i funzionari pubblici fossero suoi seguaci. L’Iraq non era la Libia, aveva una burocrazia che funzionava, così come funzionava in Siria. E i funzionari non erano uomini di Saddam, la distruzione della burocrazia ha portato queste persone da un giorno all’altro a trovarsi senza lavoro. E loro ci hanno ripagati disseminando l’intero Medio Oriente di odio anti-occidentale. Noi cercammo in tutti i modi di evitarlo, premendo sul presidente Bush, ma senza successo. 

Un altro focolaio è quello della Turchia, che ai tempi della guerra in Iraq era pure vicina ad un possibile ingresso in Europa. Poi che cosa è successo? 

È cambiato il mondo. All’epoca, insieme al mio collega britannico, avevamo fondato il gruppo “Friends of Turkey”, con il compito di attuare azioni positive per allargare l’Europa alla Turchia, il che ci avrebbe aiutato moltissimo. Ai tempi, grazie al mio impegno, il partito Akp di Erdogan, che in quegli anni era un politico in ascesa, era diventato membro osservatore al Parlamento europeo. 

E poi che cosa è andato storto? 
Chirac e Schröder ci dissero di farla finita con questo tentativo, perché tutt’al più con la Turchia si sarebbe arrivati a un partenariato speciale. Bisogna conoscere la storia turca: è ottomana e post-ottomana, è un popolo che non si dimentica di essere erede di un grande impero. Non accettarono gli schiaffi dell’Europa e il loro orgoglio nazionale li ha fatti voltare da un’altra parte: alla Russia, all’Iran, a un ruolo di potenza regionale in Medio Oriente. 

È quello che sta accadendo oggi. Fu l’unica motivazione? 

Oltre a questo schiaffo ci furono le crisi migratorie e l’islamizzazione sempre più dura del partito di Erdogan. Oggi questo processo è irreversibile, per scelta stessa della Turchia. 

L’Europa sembra aver perso gran parte dell’attrattiva anche per Paesi che ne furono fondatori. Le carenze maggiori si notano proprio nella politica estera. Sull’invasione di Erdogan in Siria, per esempio, l’Ue non ha saputo avere una voce comune. Perché? 

Rispetto a quei tempi c’è stato un degrado progressivo dei rapporti tra gli Stati europei sui temi della sicurezza, della lotta al terrorismo, dell’immigrazione. Un’Europa a 27 non si governa come una a 14, prima dell’allargamento a Est avvenuto nel 2004: già con 24 membri era diventato tutto più complicato. Negli ultimi anni ho visto l’Europa votare in tre modi diversi sulla crisi israelo-palestinese: un gruppo a favore di Israele, uno pro palestinesi, un altro che si asteneva. Peggio di così… 

Un’altra prospettiva dimenticata da tempo è quella di creare un esercito europeo. Oggi l’Ue si accontenta di avere un Alto rappresentante per la politica estera, che di alto però ha solo di nome… 

Proprio io parlai di esercito europeo nel mio discorso di insediamento, quando l’Italia diventò presidente di turno dell’Europa nel 2003. Il giorno dopo uscì un articolo sul Financial Times che diceva: arrivano dall’Italia a farci perdere l’esercito della corona. Ma oltre al Regno Unito, e tranne forse Francia e Germania, anche gli altri Paesi si mostrarono riluttanti. 

Il collasso delle relazioni internazionali di cui si parla spesso ha colpito anche i rapporti tra Stati Ue? 

Sì, è uno scollamento dovuto alla mancanza di valori guida, ed è un fatto gravissimo. Come può essere rispettato il principio della fiducia reciproca, un pilastro del trattato europeo, se l’Italia viene lasciata sola davanti agli sbarchi a Lampedusa? Come può esserci fiducia se non si scambiano informazioni sui terroristi? L’attentatore del mercatino di Bruxelles ha attraversato ben 4 Paesi europei prima di essere arrestato in Italia. Stessa storia per i terroristi del Bataclan, che hanno varcato diverse frontiere prima di essere fermati. Tutto ciò può accadere solo perché questa fiducia totale, anche nell’intelligence, non c’è più. 

 (Lucio Valentini)

4.11.19 | Posted in , , , , , , , , , , , , , , , | Continua »

CAOS SIRIA/ Frattini: se viene divisa tra Erdogan e Sauditi, salta anche la Libia



Erdogan non si sarebbe fermato, questo Trump doveva saperlo. Adesso il rischio da scongiurare è la divisione della Siria


Il Medio Oriente è tornato una polveriera, e ogni giorno il bollettino peggiora. Il governo di Hariri in Libano, in seguito alle proteste, ha rassegnato le dimissioni. In Siria, dopo il ritiro dei curdi dalla “zona cuscinetto” resta il rischio di una vera e propria guerra tra le truppe turche e quelle di Assad. In Iraq ci sono stati 250 morti da inizio ottobre tra i manifestanti, nell’ultimo caso uomini dal volto coperto hanno sparato sulla folla. La Giordania ha appena richiamato il suo ambasciatore da Israele, che a suo dire detiene due suoi cittadini illegalmente.
 Il centro del Medio Oriente sta sfuggendo di mano, e ai confini di questo nucleo “caldo” si trovano gli attori regionali più forti: Turchia, Iran, Arabia Saudita e Israele. Quattro Stati con interessi e alleanze divergenti. Col disimpegno Usa, l’unico attore di rilevanza globale nell’area resta la Russia. Il Sussidiario ha parlato con Franco Frattini, due volte ministro degli Esteri con Berlusconi a Palazzo Chigi, che ci ha delineato lo schema del pantano mediorientale, e i pericoli che ne derivano per tutto l’Occidente.

Qual è la strategia della Turchia in Siria?
Ha approfittato del vuoto di potere lasciato dagli Usa. Erdogan ha sempre voluto affermare un principio: i curdi devono vivere in zone sotto il controllo della Turchia, per Ankara questo è un interesse nazionale prioritario. Erdogan lo sta solo portando avanti concretamente, Trump ha sbagliato a credere che si sarebbe fermato.
Il presidente Usa pensava che bastasse una moral suasion per fermare i turchi?
Sì. Trump gli ha chiesto di “andarci piano”, ma Erdogan, saputo del ritiro Usa dal Nordest della Siria, ha agito come se il campo fosse sgombro. Anche lui ha fatto male i conti: dagli Usa ha preso le sanzioni e il riconoscimento del genocidio armeno, e appena gli americani hanno mollato la presa, la Russia si è incaricata della stabilità dell’area, e per ora Putin più o meno riesce a mantenere il cessate il fuoco tra Turchia e Assad. Conosco i turchi: senza un “amico” potente a chiederglielo, non si sarebbero fermati ai 30 km della “zona cuscinetto”. A Idlib, e non solo, avremmo visto un bagno di sangue.
Anche perché l’esercito turco, il secondo della Nato, ha i mezzi per farlo.
Sì, ma non bisogna sottovalutare il contingente di Assad, che è tutt’ora forte e combatte sul suo territorio, un luogo dove chiunque rischia di impantanarsi, questo Putin l’ha capito bene.
Lo stesso vale per Trump, che infatti se ne è tirato fuori. È questa la sua strategia?
Sì. D’altronde a Trump, all’inizio del suo mandato, è scappato detto: “Gli Usa devono smetterla di fare il poliziotto globale”.
Questo però lo dicono un po’ tutti i presidenti Usa. Poi le cose vanno diversamente.
Lui però ha cominciato a farlo. Ha detto agli alleati Nato: non pagheremo più per la vostra sicurezza. E questo si è tradotto nel disimpegno in Libia, ai danni dell’Italia, e in Siria, ai danni di tutto l’Occidente. Anche in Afghanistan e in Iraq ha diminuito gli sforzi. Poi, certo, restano alcune mosse estemporanee.
Tipo?
Prima ha detto di volersene andare dal Nordest della Siria, per poi spiegare che alcune truppe sarebbero rimaste. Allo stesso tempo, le forze speciali americane erano a caccia di Al Baghdadi, il califfo dell’Isis, che alla fine hanno trovato e ucciso. Ma l’idea dietro resta, anche se non è attuata in modo lineare.
Quella di un’America concentrata su se stessa. È questo il fine?
Vuole portare alle elezioni del prossimo anno un’America più ricca al suo interno e più lontana dai teatri di crisi. Trump disse: “Basta con le bare coperte dalla nostra bandiera, voglio che i nostri ragazzi si impegnino negli Usa per il bene della patria”.
A chi va il Medio Oriente? Alla Russia, alla Cina?
La Russia resta l’attore più importante sul campo, e gioca sempre di sponda con la Cina: 2 su 5 dei membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu hanno un occhio attento sulle vicende mediorientali. In più la Russia fa da pontiere con l’Iran, che presto potrebbe avere la bomba atomica. Il grande Medio Oriente si sta del tutto destabilizzando, lo scontro tra Qatar e blocco sunnita di Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita è uno scontro tra sunniti. Non si tratta più solo di scontri tra sunniti e sciiti.
Una vera polveriera, mentre ancora non si capisce come andrà a finire la spartizione della Siria.
La Turchia vuole la sua area d’influenza, questo oltre ai curdi è il motivo del suo attivismo in Siria. Ci saranno tre sfere d’influenza: la Turchia al nord vicino ai propri confini, al centro gli sciiti alawiti di Bashar al-Assad, e al sud i sunniti con influenza e soldi di Arabia Saudita. Sperando che tutto ciò basti a mantenerla unita, perché una sua partizione in due o tre parti sarebbe assolutamente devastante.
Più devastante del rischio che continui una guerra che dopo 8 anni ha lasciato solo macerie?
Sarebbe un rischio ancora più grosso perché creerebbe un effetto domino: perché dovrebbe rimanere unita la Libia se tra Cirenaica, Tripolitania e Fezzan ci sono differenze forse anche più grandi di quelle tra un curdo e un sunnita del sud della Siria?
La forma Stato in Africa non è mai attecchita del tutto. Ma è a rischio anche in Medio Oriente?
Questo è il vizio d’origine dell’accordo franco-britannico che, disegnando con la penna i confini degli Stati, pose le condizioni per aggregazioni e disaggregazioni che quei popoli non riconoscono. Se cade uno di questi Stati e si afferma il principio che la Siria si può dividere, altri la seguirebbero. L’opposto dell’interesse occidentale, che è nella stabilità dell’area.
In Libano, il primo ministro Hariri si è dimesso. Si andrà a elezioni o si rischia la guerra civile?
Hariri, e prima di lui suo padre, si è illuso per anni che la sua coalizione potesse fare accordi con Hezbollah, e ora ne paga il prezzo. Hezbollah è un partito sciita filo-iraniano del tutto assolutista, che vuole vincere e non concepisce accordi. Io non so se dietro le enormi proteste di piazza ci sia o no Nasrallah (il leader di Hezbollah, ndr), so che trovare un nuovo primo ministro sarà difficile per il presidente Aoun. Hariri ci mise un anno per creare il governo.
Anche Israele, paese diverso ma confinante, ha difficoltà nel creare un governo.
Israele uscirà da questa fase, è un paese più dinamico. E ha delle risorse che il Libano purtroppo non ha.
(Lucio Valentini, Il Sussidiario.net) 

31.10.19 | Posted in , , , , , , , , , , , , , , , , | Continua »

Franco Frattini presiede il Premio Italia Giovane 2019. Ecco i talenti premiati nel segno di Leonardo Da Vinci.


Franco Frattini presiede il Premio Italia Giovane 2019. Ecco i talenti premiati nel segno di Leonardo Da Vinci.


Hanno tra i 19 e i 34 anni i vincitori della sesta edizione il Premio Italia Giovane, iniziativa ideata dall’Associazione Giovani per Roma che vuole valorizzare le storie e le esperienze professionali di giovani – rigorosamente under 35 – per condividerle e diffonderle nella società.
La cerimonia si è tenuta presso la sede della Luiss Business School a Roma: in tredici (oltre quattro menzioni speciali) provenienti da tutta Italia, hanno ricevuto il premio in funzione di ciò che trasmettono e rappresentano, per i meriti professionali o per le ricerche scientifiche condotte. Volti e nomi legati alla medicina, al mondo delle start up, spazio, fintech e sport, ma anche impegnati nella società civile, nelle professioni e, in particolare per questa edizione, tra le forze dell’ordine impegnate per la sicurezza del Paese. Fanno incetta i candidati romani, tra cui Aurora Almadori, medico chirurgo che aiuta le donne vittime di mutilazione genitale; Andrea Bonaceto (creatore di un fondo di investimento basato sulla blockchain); Filippo Cocca (Commissario Capo della Polizia di Stato intervenuto durante la tragedia del ponte Morandi a Genova), Vincenzo Elifani; oppure il giovanissimo Avvocato dello Stato Andrea Giordano; Federico Palmieri (Fondatore di BizPlace già segnalato da Forbes tra i 100 under 30 più influenti d’Italia). Il premio, dedicato quest’anno al genio di Leonardo Da Vinci, è presieduto da Franco Frattini (presidente del Sioi), con l’alto patrocinio del Parlamento europeo, vantando il prestigioso riconoscimento della medaglia di rappresentanza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
A sostegno dell’iniziativa sono intervenuti, con un messaggio, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli.  Ha evidenziato il primo ministro: “La trasmissione delle conoscenze e la condivisione delle esperienze meritano di essere incoraggiate e costantemente stimolate al fine di promuovere nella società la crescita sana e responsabile delle nuove generazioni”. Plauso anche da Sassoli: Siamo pienamente convinti che i giovani europei possono fare la differenza, oltre ad avere la capacità di cambiare la società in meglio, affinando nel contempo le loro abilità e competenze ai fini dello sviluppo personale, sociale, culturale e professionale. Incentivare i giovani a diventare cittadini attivi oggi è il nostro miglior investimento nel futuro”.
Paolo Boccardelli, direttore della Luiss Business School: “Lo spirito del premio è quello di dare un palcoscenico a giovani talenti che hanno realizzato cose di grande successo: per noi valorizzarli è un motivo di orgoglio ed entusiasmo, tra l’altro rispondendo allo spirito del nostro Ateneo: Luiss è nata per generare classe dirigente dai giovani, e questa iniziativa rientra in ciò che per noi è di fondamentale importanza. Continuate così: coltivate passioni e idee, non arrendetevi mai”.
Per Frattini: “Le storie che abbiamo valutato – ne sono arrivare oltre duecento – sono un inno alla creatività, al coraggio, al pensiero laterale: ecco perché nei partecipanti al premio vediamo gli ideali eredi di Leonardo, il primo ad aver scardinato gli schemi classici per proiettare l’Uomo in un futuro che avrebbe conosciuto solo molti secoli dopo.”
Andrea Chiappetta, presidente del comitato promotore: “Il premio è un serbatoio di qualità, che raccoglie ragazze e ragazzi che hanno trovato la loro strada, purtroppo non sempre in Italia, per realizzare il loro sogno. Di recente il Presidente Mattarella, in visita nella Silicon Valley, ha stigmatizzato proprio questo fenomeno: quello delle menti italiane che corrono all’estero per la ricerca di fondi con cui avviare le proprie start up.  Su tutto questo dovremmo interrogarci e chiederci perché questo accade, e come poter invertire questa tendenza”.Sono inoltre intervenuti Mario Alì, presidente Premio Pair e Gennaro Terracciano, prorettore Università degli studi di Roma “Foro Italico”.
Questi i nomi dei vincitori: Andrea Bonaceto (Fintech), Alberto Atelli (Impegno civico), Antonio Di Franco (Medicina), Vincenzo Elifani (Innovazione), Marco Farci (impresa e internazionalizzazione), Fernando Frediani (Start up), Hady Milani (Spazio), Federico Palmieri ( Start up), Riccardo Patriarca ( Spazio), Edwige Pezzulli (Spazio), Filippo Cocca (Polizia di Stato), Emanuela Perinetti (Start up), Andrea Giordano (Avvocato dello Stato), Aurora Almadori (Medicina), Antonio Vincenti (Medaglia d’oro Carabinieri), Giria Alessandra Russo (Guardia di Finanza) Calogero Terrazzino (polizia penitenziaria).
Tutti i ritratti su www.premioitaliagiovane.it

31.10.19 | Posted in , , , , , , , , | Continua »

Frattini: Italia e Francia hanno “il dovere” di portare avanti una “azione comune” sulla Libia

La Francia e l'Italia. La continua instabilità in Libia
Evento SIOI del 17 ottobre 2019

SIOI, 17 ottobre- Italia e Francia hanno “il dovere” di portare avanti una “azione comune” sulla Libia che possa unire gli attori non-libici attorno a un percorso di institution building che finora è mancato. 

 Lo ha detto oggi Franco Frattini, presidente della Società italiana per l’organizzazione internazionale (Sioi), al convegno “La Francia e l’Italia, la continua instabilità in Libia” tenuto a Roma nell’ambito della decima edizione del Festival della diplomazia. Italia e Francia, secondo Frattini, dovrebbero avere la capacità di portare avanti un “compact libico” che possa mettere insieme “sia il soft power europeo che il political power della Nato”. Un nuovo schema che possa affrontare tutti gli aspetti della crisi in corso: non solo i rischi legati alla sicurezza (traffico di esseri umani, terrorismo, droga), ma anche l'economia libica (e in particolare l'opaco rapporto tra la National Oil Corporatin e la Banca centrale), oltre alla questione legata alle milizie armate da attori stranieri, in particolare non occidentali (Emirati, Egitto e Turchia in primis). © Agenzia Nova

18.10.19 | Posted in , , , , , , , , , , | Continua »

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