Cooperazione: Frattini, necessario rafforzare ruolo delle Nazioni Unite


(Nova) - Mai come in questo momento storico c' e' bisogno che le Nazioni Unite rafforzino la propria azione. Lo ha detto l'ex ministro degli Esteri Franco Frattini, intervenuto nel corso del convegno La sfida della pace: l' Italia con le Nazioni Unite: 1945 - 2015, che si tiene quest' oggi alla Farnesina

"Negli altri eventi organizzati con il ministero abbiamo cercato di comunicare ai giovani, in un momento di possibile disaffezione nei confronti dell' operato delle Nazioni Unite, che mai come in questo frangente c' e' bisogno che l' Onu rafforzi la sua azione", ha detto il presidente della Sioi. " Il multilateralismo e' lo strumento con cui l' Onu opera per affermare i principi della carta di San Francisco", ha aggiunto l' ex ministro, secondo cui "e' necessario lavorare affinche' le Nazioni Unite abbaiano sempre maggiore sostegno da parte degli stati membri". 

Occorre "dare all' Onu piu' strumenti e piu' forza per continuare il proprio lavoro", ha affermato Frattini. L' Italia, cosi' Frattini, ha sempre portato la bandiera dei diritti delle persone, tra queste la sfida per i diritti delle donne, per ridurre le mutilazioni genitali femminili con l' aiuto dei paesi africani, l' impegno contro la pena di morte e per la liberta' religiosa, oltre all' impegno per contrastare la tragedia dei bambini soldato. Sulla necessita' di rafforzare il ruolo delle Nazioni Unite ha parlato anche Mario Giro, sottosegretario agli Affari esteri. "Il compito delle Nazioni Unite e' essenziale. L' Onu e' l' ultimo foro in cui costruire un umanesimo globale", ha detto Giro, aggiungendo che "l' Italia repubblicana e' stata fondata sugli stessi principi della carta delle Nazioni Unite". Il nostro paese, cosi' Giro, ha il multilateralismo nel proprio patrimonio genetico e la capacita' di essere ponte per creare le condizioni di dialogo internazionale. 

Per anni, ha aggiunto il sottosegretario, "ci siamo impegnati in missioni internazionali". Ad oggi, "ospitiamo molti organismi dell' Onu nel nostro paese, come testimonianza della qualita' della nostra collaborazione. L' Italia inoltre e' fortemente impegnata al fianco dell' Unesco. "Abbiamo promosso i caschi blu della cultura, formata da personale specializzato nella salvaguardia del patrimonio culturale", ha spiegato Giro, il quale ha tuttavia sottolineato la necessita' di un "maggiore impegno per prevenire le crisi". "E' necessario maggiore impegno per evitare che tensioni si trasformino in crisi e le crisi in guerre", ha detto Giro. 

Dell' urgenza di assicurare maggiore sostegno all' Onu ha parlato anche Filippo Grandi, alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. "L' assistenza ai rifugiati e' uno dei punti di forza delle Nazioni Unite", ha detto Grandi. "Il tema dei rifugiati ci rimanda alla storia delle Nazioni Unite. Essi sono un segno vivo di quello che e' utile e positivo ma anche di cio' che non funziona piu'", ha detto Grandi, il quale ha sottolineato la necessita' di una maggiore assistenza non solo per l' Unhcr ma anche per le altre organizzazioni che lavorano per alleviare le sofferenze di piu' di 40 mila persone che ogni giorno sono costrette a lasciare le proprie case. "Ribadisco l' importanza di sostenere le Nazioni Unite e sono grato all' Italia per l' aiuto fornito", ha aggiunto Grandi, citando i recenti finanziamenti da parte della cooperazione italiana.

"Siamo grati per questo appoggio, di cui continueremo ad avere bisogno in un anno che si preannuncia impegnativo", ha affermato il responsabile dell' organizzazione internazionale, secondo cui la crisi migratoria in atto e' estremamente delicata dal punto di vista politico, in quanto "sta mettendo a dura prova il concetto stesso di asilo". 

La prossima conferenza di Istanbul e altri eventi internazionali saranno occasione di discutere le tematiche legate alla migrazione in modi muovi e creativi", ha aggiunto Grandi. Il ruolo importante dell' Italia nella cooperazione e' stato riconosciuto anche da detto Jose' Graziano da Silva, direttore generale dell' organizzazione delle Nazioni Unite per l' alimentazione e l' agricoltura (Fao). Il direttore generale ha sottolineato l' impegno dell' Italia del multilateralismo e nella cooperazione internazionale. 

"Negli ultimi quattro anni l' Italia e' stato settimo contributore al budget della Fao", ha detto da Silva, il quale ha ricordato, in particolare, l' impegno dell' Italia verso le isole sids, stati insulari in via di sviluppo gravemente minacciate dal cambiamento climatico. Il responsabile dell' organizzazione internazionale ha inoltre ringraziato il governo italiano a nome di Fao , Ifad e Pam per il sostegno ricevuto a partire dal trasferimento dell' organizzazione a Roma. Al convegno e' intervenuto anche il direttore generale della Cooperazione italiana, Giampaolo Cantini. "La tematica dello sviluppo e' una delle dimensioni fondamentali e costitutive della Carta delle Nazioni Unite", ha detto il direttore generale. "Interi capitoli sono dedicati a tematiche che oggi definiremmo di sviluppo sostenibile", ha dichiarato Cantini, il quale ha sottolineato il ruolo importante giocato dall' Italia nel contesto delle politiche adottate dalle Nazioni Unite. "La Cooperazione italiana ha portato l' accento sullo sviluppo locale, in sintonia con le Nazioni Unite", ha detto il direttore generale. 

Un tema, quest' ultimo, "fortemente legato alla realta' italiana e alla sua struttura economia e sociale". Tra gli altri temi che hanno visto la Cooperazione italiana lavorare di concerto con alcune organizzazioni Onu vi sono quelli legati al genere. "L' Italia ha messo un forte accento sulle tematiche di genere, in parallelo con la promozione di risoluzioni su tematiche quali la mutilazione dei genitali femminili e la lotta ai matrimoni precoci", ha affermato Cantini, che ha citato l' impegno della Cooperazione italiana nella lotta alle grandi pandemie, in sintonia con l' operato dell' Organizzazione internazionale. Cantini si e' inoltre soffermato sul ruolo importante giocato dalle Nazioni Unite, sfociato nell' Agenda di sviluppo sostenibile 2030. 

 "L' agenda 2030 ci porta su un terreno nuovo, in quanto integra le dimensioni economica, sociale e ambientale dello sviluppo" ha detto Cantini. Inoltre, "essa si rivolge a tutti gli Stati, ponendo obiettivi universali ai quali corrisponde un processo di accountability", ha aggiunto il Direttore generale. All' evento, organizzato dal Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale e dalla Societa' italiana per l' Organizzazione internazionale, sono intervenuti anche Michele Valensise, segretario generale della Farnesina. L' evento e' stato organizzato in occasione del sessantesimo anniversario dell' entrata dell' Italia nell' Onu, nell' ambito della manifestazione "Farnesina porte aperte". 

17.12.15 | Posted in , , , , , , | Continua »

"60 anni di Italia all'ONU: unità, multilateralismo e strategia" - Franco Frattini


Intervista con il presidente della SIOI Franco Frattini: "La minaccia più seria alla pace è certamente l'instabilità di alcune regionid el mondo. Serve più unità, multilateralità e strategia".

Intervista realizzata a margine della conferenza "La sfida della pace: i 60 anni dell'Italia all'ONU", organizzata dal ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale in collaborazione con la SIOI - UN Association of Italy.

Il video è stato realizzato dagli studenti del Master in "Comunicazione e Media" della SIOI.

Riprese e montaggio: Olga Zaccaria
Intervista: Diego Del Proposto

www.sioi.org


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60 anni di Italia all’ONU: "continuare ad investire nelle Nazioni Unite"


(di Onuitalia con i ragazzi del Master della SIOI)

ROMA, 16 DICEMBRE – “La situazione dei rifugiati ci ricorda che il sistema non funziona più, ma importante riconoscere ciò che è positivo”. Per affrontare la crisi serviranno “modalità nuove e più creative”. Lo ha detto, a pochi giorni dal suo insediamento a Ginevra, l’alto commissario Onu per i Rifugiati (Unhcr) eletto Filippo Grandi. Una lunga carriera all’interno delle Nazioni Unite, Grandi e’ stato uno dei protagonisti del convegno sui 60 anni dall’ingresso dell’Italia nell’Onu, alla Farnesina.

Nel 2016 ci saranno molti incontri multilaterali sulla questione dei flussi e servirà un “approccio operativo per migliorare l’accoglienza” che, tra le altre cose, “superi gliostacoli da mancanza di coesione nell’Ue”, ha detto Grandi. Oggi al Palazzo di Vetro il segretario generale Ban Ki moon ne ha elencato quattro, sotto l’ombrello dell’ONU, che culmineranno il 19 settembre con un vertice per capi di Stato e di Governo alla vigilia della prossima Assemblea Generale. L’obiettivo – ha spiegato Ban – sara’ l’intesa su un Global Compact che affronti la crisi al punto di vista della condivisione delle responsabilità.

Il convegno “La sfida della pace. L’ Italia con le Nazioni Unite: 1945-2015” e’ stato organizzato oggi alla Farnesina nell’ ambito dell’ iniziativa ‘Porte Aperte’ dal ministero degli Esteri in collaborazione con la SIOI – Un Association of Italy, in quanto associazione italiana per l’ONU, membro fondatore della WFUNA (Federazione Mondiale delle Associazioni delle Nazioni Unite), ma soprattutto Ente che già dal 1946 fu incaricata dal governo italiano (De Gasperi) di costruire il percorso di adesione dell’Italia all’ONU e di essere, quindi, il legame tra l’Italia e l’ONU, ben 10 anni prima dell’ammissione.


Valensise, Mario Giro, Frattini, Grandi, Graziano da Silva

Al convegno sono intervenuti, tra gli altri, Michele Valensise, Segretario Generale della Farnesina, l’ ex ministro Franco Frattini, presidente della Sioi, Mario Giro, Sottosegretario agli Affari Esteri, Jose’ Graziano da Silva, Direttore Generale della FAO. “L’entrata dell’Italia nelle Nazioni Unite nel 1955 è stato un punto di partenza su cui vogliamo costruire un futuro migliore”, ha detto Valensise ricordando l’impegno di Amintore Fanfani e Aldo Moro a sostegno delle attivita’ dell’Italia nelle Nazioni Unite.

Per il sottosegretario agli Esteri Mario Giro, l’Italia repubblicana, “che ha il multilateralismo nel suo patrimonio genetico”, fu fondata sugli ideali di pace presenti nella carta delle Nazioni Unite. “In un momento di incertezze anche noi addetti ai lavori siamo presi da qualche dubbio viste le crisi che ci sono nel mondo, ma la protezione e l’assistenza dei rifugiati sono due temi centrali”. Senza l’Onu, del resto, “non avremmo un mondo piu’ sicuro e stabile ne’ piu’ pace – ha proseguito Giro – per questo l’Italia e’ cosi’ impegnata nelle Nazioni Unite”, a cominciare dalla partecipazione alle “tante missioni di pace” e all’ospitalità data a “numerosi organismi dell’Onu, un impegno del governo anche in momenti di restrizioni finanziarie”. Si tratta, ha sottolineato il Sottosegretario, di una “collaborazione che non potra’ che rafforzarsi sempre di piu’: per questo abbiamo presentato la candidatura a un seggio non permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu per il biennio 2017/2018”.

Anche secondo Franco Frattini,“mai come in questo momento c’e’ bisogno che l’Onu continui e rafforzi la sua azione”. Contro il rischio di disaffezione nei confronti delle Nazioni Unite, “nessuno si lasci prendere da un sentimento negativo” ma al contrario “lavoriamo perche’ abbiano piu’ sostegno”. “Se qualche volta stentano – ha sottolineato il presidente della SIOI – e’ quasi sempre perche’ gli Stati membri non mettono l’Onu nelle condizioni di lavorare”. Per questo, ha concluso, bisogna dargli “più strumenti e più forza per lavorare meglio”. 

17.12.15 | Posted in , , , , , , | Continua »

Sofferenze e vaccini mai fatti, la tratta dei cuccioli vale 300 milioni all'anno



Adnkronos - Strappati alle madri quando sono ancora troppo piccoli, privi di vaccinazioni o con documenti falsi che ne attestano le profilassi di legge, trasportati e venduti come una qualunque merce a meno di due mesi di vita. E' la tratta dei cuccioli, 8mila cani e gatti di razza acquistati nei Paesi dell'Est e trasportati illegalmente ogni mese in Italia per un giro d'affari che in tutta Europa frutta 300milioni di euro l'anno.

Un vero e proprio business gestito da una rete di trafficanti organizzati che comprano animali per 30-50 euro in Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e li rivendono a partire da 600 euro. La metà dei cuccioli muore nel viaggio, gli altri spesso si ammalano o hanno tare genetiche. E le loro madri non hanno vita migliore: usate come fattrici vengono sfruttate fino allo sfinimento con più di due gravidanze all'anno indotte con la somministrazione di ormoni. E' il quadro, agghiacciante, che viene denunciato nel libro 'La fabbrica dei cuccioli' di Ilaria Innocenti e Macri Puricelli, presentato oggi alla Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale dal presidente Sioi Franco Frattini e dal presidente della Lav Gianluca Felicetti.

Due cuccioli salvati e affidati in adozione
"Un libro importante che denuncia una realtà di cui molti sono all'oscuro - ha detto Frattini - utile per prendere coscienza di fenomeno grave soprattutto in un periodo dell'anno in cui molti pensano che l'acquisto di un cucciolo possa essere un regalo di Natale". A rendere più facile la vita ai trafficanti c'è la mancanza di una normativa comune al livello europeo.

Per questo Frattini auspica, in vista di una legge Comunitaria, "che la Commissione, sulla base di quanto previsto dai trattati, avvii un'attività di monitoraggio Paese per Paese, su come le leggi nazionali vengono applicate, affrontando la materia non solo dal punto di vista sanitario ma sotto un profilo più ampio. Al termine del monitoraggio - aggiunge l'ex ministro degli Esteri - come avviene per altre materie, la Commissione pubblicherà poi un rapporto stilando una classifica dei comportamenti dei vari Paesi ed evidenziando le lacune, creando una base per arrivare una normativa europea".

Ma molto, come sempre, oltre alla legge possono fare i cittadini. "Bisogna capire - dice Macri Puricelli - perché non va incrementato l'acquisto di cuccioli e perché è sempre meglio adottare un animale. Siamo andati a vedere gli allevamenti. In Ungheria c'è forse la situazione peggiore. Al mercato di Pécs si trovano cuccioli di tutte le razze acquistabili da persone singole con documenti e certificazioni sanitarie false pronte in 24 ore. Compresa l'antirabbica".

E a Pécs si recano anche i trafficanti. "Lì arrivano ordinativi dall'Italia con l'elenco di quanti cuccioli si vogliono per ogni razza e si stabiliscono i prezzi. Siamo andati a vedere piccoli allevamenti lì intorno dove i cani vengono venduti a 80-100 euro. In queste vere e proprie fabbriche di cuccioli c'è un degrado sanitario terribile".

E una volta partiti per le varie destinazioni dell'Europa occidentale i cuccioli vivono una realtà di estrema sofferenza. "Fanno viaggi di 11 ore - dice Ilaria Innocenti che al Valico di Tarvisio ha seguito i controlli con le forze di polizia - ammassati o nascosti dentro camion se non nel bagagliaio di auto, senza acqua né cibo. In una notte sono stati sequestrati oltre 139 cani tra questi 5 erano chiusi nel portabagagli di un'auto senza trasportino, immersi nei loro liquami in stato di ipotermia e disidratazione. Altri, 5 barboncini, erano nascosti in un furgone pieno di mobili: 2 erano morti".

"I cani dopo essere stati sequestrati alla frontiera - aggiunge Innocenti - vengono portati in un centro sulla foce dell'Isonzo dove vengono sottoposti a tutti i controlli sanitari e dove nessuno risulta vaccinato per nessuna malattia, non solo per la rabbia ma per tutte le patologie. I volontari del centro non solo li curano ma li rimettono in sesto anche psicologicamente prima di affidarli alle famiglie che vogliono adottarli". Ed è proprio l'adozione, secondo le autrici, la chiave per scardinare il sistema: "Scegliere sempre l'adozione e mai l'acquisto, l'amore non si compra".

10.12.15 | Posted in , , , , , , | Continua »

Terrorismo/ Frattini: Il governo deve sostenere il valore aggiunto delle missioni all'estero (intervista)


Frattini: il Parlamento ora dia il via libera i nostri droni vanno armati con i missili

Intervista a "Il Mattino" di Luciano Pignataro 

Franco Frattini non ha dubbi su cosa fare: «Autorizzare i nostri Droni a usare i missili». Per l' ex ministro degli Esteri ed ex Commissario europeo alla Sicurezza, adesso presidente del Sioi (Società Italiana per l' Organizzazione Internazionale), l'Italia non può restare ferma in questo momento così delicato.

La nostra politica estera sembra subire l' iniziativa della Francia così come è avvenuto in altre occasioni. È proprio così secondo lei?
«No. È ben chiara a tutti la posizione italiana e di come sia decisa la nostra determinazione politica di aderire alla colazione antiterrorismo» 

Dall' aderire al via libera vero e proprio c' è uno bel salto. Lo stiamo facendo?
«L'Italia ha qualcosa da mettere sul piatto e di cui non si parla troppo, come se fosse qualcosa di scontato: i nostri soldati nelle missioni estere sono quasi il doppio di quelle dei tedeschi, giusto per fare un esempio. Da anni contribuiamo concretamente in aree difficile con ben 6.000 militari. Noi questo impegno non lo valorizziamo in maniera adeguata: per esempio in Libano il nostro è un ruolo importante e delicato perché siamo responsabili di una delle zone di crisi più importanti».

D' accordo, ma il cuore della questione non è certo il Libano in questo momento.
«No, però pensiamo a cosa potrebbe succedere se non ci fossero i nostri militari».

L' impressione è che comunque in Siria e Iraq siamo poco presenti militarmente e politicamente.
«Anche questo non è esatto. Noi abbiamo sin dalla caduta di Saddam un ruolo chiave e determinante nell' addestramento dei peshmerga curdi che sono coloro i quali concretamente combattono sul terreno. Un ruolo riconosciuto qualche giorno fa dallo stesso Obama».

Si tratta solo di valorizzare quello che facciamo già?
«Intanto ci siamo ritagliati un compito che non è quello di combattere, ma non di preparare chi lo fa. Però possiamo fare di più, come dare contributi tecnologi armati. Penso ai droni, ma per questo serve in via libera dal Parlamento».

Renzi non si spinge sino a questo punto per timore di finire in minoranza?
«Qui abbiamo una difficoltà della politica. Con questa situazione, sia nel a destra che a sinistra, non credo ci sarebbe il clima di unità nazionale che ho visto in Francia e Germania. Il governo ha problemi a destra con la Lega e la stessa Forza Italia, ma anche a sinistra».

Ma la nostra politica estera non rischia di apparire così appiattita su quella americana?
«In alcuni casi sì, per esempio le sanzioni alla Russia sono state un errore grave, e dalle recenti parole di Renzi capisco che anche lui se ne rende conto. Ma per esempio in Siria noi sosteniamo che la caduta di Assad non può essere precondizione di accordo siamo in dissonanza con gli Usa. Il mio timore è che noi restiamo indietro su questo fronte».

Facendo un appello all' unità nazionale il governo potrebbe spuntarla in Parlamento? E con quali proposte?
«Il governo deve sostenere il valore aggiunto delle missioni all'estero con la possibilità di armare i droni senza impegnare "i piedi sul terreno". Francia e Germania producono sicurezza: noi non possiamo solo consumare sicurezza».

Quali rischi concreti vede per l' Italia e l' Europa dopo le stragi di Parigi?
«Condivido le parole di Mattarella: gli europei non si sono coordinati neanche dopo gli attentati. Abbiamo il paradosso che il Pnr (Passenger Name Record, Registro Dati dei Passeggerila banca dati) funziona tra Europa e Usa ma non dentro l' Unione. Salah si è mosso perché non c' era scambio di informazione e non perché non si sapesse cosa stesse facendo. Salah è stato fermato alla frontiera dopo gli attentati ma non lo hanno trattenuto».

Perché non si è fatto nulla in questi anni?
«L' obiezione è la privacy! Obiezione assurda perché il diritto alla vita molto vale di più del diritto alla vita».

Resta il fatto che questa guerra al terrorismo si inserisce in un contesto di grandi processi migratori come da un secolo non si vedeva 
«Papa Francesco lo ha detto chiaramente, i cambiamenti climatici, la povertà, l' emigrazione sono degli elementi di tensione, è una guerra mondiale a pezzi e adesso tutto il mondo è in guerra».

Una guerra di cui prendere atto 
«In prospettiva, la prima cosa da fare è annientare lo Stato Islamico, la formazione di una coalizione internazionale è l' unica cosa davvero urgente. Serve però anche la voce dell' Islam che ci deve dire chi è davvero mussulmano e chi non lo è. Ma in questo momento il fattore militare, non quello culturale, resta quello importante e decisivo».

Una domanda che le fanno sempre: non è stato un errore abbattere Gheddafi e i regimi mediorientali che ci garantivano stabilità?
«Secondo me l' errore non è stato abbattere Gheddafi e questi regimi che in cambio di stabilità calpestavano i diritti umani, ma aver abbandonato questi paesi dopo la loro caduta».

28.11.15 | Posted in , , , , , , | Continua »

Parigi/ Frattini: terroristi aiutati dai troppi errori della Ue (intervista)


Intervista su Avvenire

di Marco Iasevoli

«È arrivato il momento di denunciare ritardi, omissioni e sbagli dell' Unione europea nel garantire la sicurezza dei propri cittadini e nell' approntare una efficace strategia antiterrorismo. Ci sono decisioni prese diversi anni fa e mai adottate sul serio, altre eternamente rinviate. La Commissione di Juncker deve avere più coraggio nel guidare questa fase e ha bisogno di più poteri nel presentare provvedimenti d' urgenza, gli Stati condividano davvero le informazioni e il Parlamento di Strasburgo cessi di essere un luogo di discussioni alate sui grandi diritti…».

Franco Frattini sbotta, ed è una rarità. Ex ministro degli Esteri, ex commissario Ue dal 2004 al 2008 con delega, tra l' altro, alla sicurezza, ha fatto dell' aplomb istituzionale una sorta di biglietto da visita. Ma la fase poco si presta al politicamente corretto: «La verità è che i singoli Stati hanno una mole enorme di informazioni. Ciascuno ha un pezzettino dei movimenti estivi di Salah, per capirci. Ma poi mancano gli incroci ed è tutto inutile».

Non è incoraggiante come analisi...
Vede, io ho un incubo. La fine di Schengen, la chiusura delle frontiere, le file per presentare i passaporti anche quando viaggiamo da uno Stato europeo all' altro, da Roma a Parigi. Sarebbe la prima vera vittoria culturale del Daesh. Si può evitare, ma si è perso tanto tempo.

Perché?
Il famoso Pnr (Passenger name record) di cui si parla in questi giorni risale a 9 anni fa. Nove. Una cosa semplice, custodire in una banca dati centralizzata tutti i dati dei passeggeri del traffico aereo. Tra Ue e Usa funziona, non all' interno dell' Europa. A lungo Strasburgo non ha voluto sentire ragioni in nome della privacy e del 'Grande fratello'. Ma ci sono momenti in cui i vari diritti debbono essere pesati e messi in una scala di priorità. Un' altra cosa che proposi è il cosiddetto entry-exit database, un contenitore unico di tutti i movimenti in entrata e in uscita dall' area Schengen, registrati con impronte biometriche. Era un passo necessario, complementare all' allargamento dell' area di libera circolazione. Per restare al caso Salah, così sarebbe stato individuato a qualsiasi posto di blocco durante la sua fuga da Parigi al Belgio.

Perché l' Ue non riesce a decidere?
Per diversi fattori. Da un lato, è noto, perché gli Stati membri hanno un potere enorme rispetto a quello della Commissione. Pensi all' immigrazione: il piano Juncker prevedeva la distribuzione di 140mila rifugiati, poi 40mila, poi 40mila in due anni. E stiamo a zero dopo tanti Consigli Ue di emergenza. E pensare che nove anni fa già si parlava di guardia costiera unificata - avevo pure fatto disegnare le divise -, di una lista unica dei Paesi dai quali non accettare richiedenti asilo. L' altro motivo dei ritardi è un Parlamento Ue che a volte pare sospeso in una nuvola sganciata dalla realtà. E così ci sono scelte importanti come il Sis ( Schengen information system) e ilVis ( Visa information system) che, non implementate a dovere, vanno ad arricchire il fitto albo delle sigle esotiche partorite a Bruxelles.

Anche la giustizia europea spesso interviene a tutela delle libertà personali...
Ne ho fatto esperienza con la direttiva Data retention, la possibilità di tracciare i cellulari non per captare i contenuti delle conversazioni ma per controllare i movimenti. Fu grazie a questa misura che riuscimmo a prendere a Roma, in un internet cafè della stazione Termini, due terroristi che avevano agito a Londra. Poi la Corte europea ne ha limitato la forza.
Restando su questo tema, c' è un problema anche per i protocolli di collaborazione tra Stati Ue e partner non europei. La Corte dei diritti ha punito diversi Paesi per l' espulsione di sospetti terroristi.
Ma così anche questa diventa un' arma spuntata.

26.11.15 | Posted in , , , , , , , | Continua »

“Refugees, Migration, Europe: 2015-2030” (Lectio Magistralis, Sofia BG)


Refugees and Europe: 2015-2030
Lectio Magistralis by Franco Frattini at the Military Club, Sofia 18th November 2015

Distinguished Authorities, ladies and gentlemen,

Thank you for this invitation. Thanks to my dear friend Solomon Passi for inviting me here to share some reflections on an issue that is fundamental for Europe and that obviously has profoundly human component: the refugee issue, the issue of migrants. It is a theme that went through the entire Europe: the Mediterranean, the Balkan, and Eastern Europe as well.

If we talk about the issue of refugees, we must first consider that this is­sue affects women, children, men: they are human beings. We are not talking about numbers, but about dramatic situations. We are talking about those who are escaping from wars, civil wars, ethnic cleansing, from dramas we often can't even imagine.

And it is clear, therefore, that our Europe - the land of rights and opportunities, that Europe which was awarded the Nobel Prize for Peace – should apply principles inspired by the rule number one asserting that the dignity of human beings cannot be negotiated. No doubts, uncertainties, shortcuts are allowed. 

There is a first issue, an important institutional question we have to face up to. Too often people get confused between the concept of refugee and the notion of migrant. Those are two completely different concepts. A refugee is a person who gets a special status deemed worthy a particular protection because he is in the real risk of persecution, war, or dictatorship in the country he escaped from. Migrants, instead, are mostly economic migrants, that is migrants who move from their countries for reasons related to climate change, natural phenomena, famine, all highly dramatic situations, but we cannot certainly confuse those two with each other.

Faced with dramatic situations, Europe cannot split up. Europe cannot do again what had happened when, for a long, long time Italy had called for the European countries and the EU institutions, after dealing with the inflow of hundreds of thousands of migrants for years and years: certainly it was mostly the case of economic migrants, but for sure also refugees landed on the southern coast of our country.

Europe's responses were non-existent, sometimes even vague; only a few times statements came, solidarity was expressed to Italy, the need to help Italy was underlined. That was all, nothing else.

When, this year, the plight of refugees, particularly of refugees, began to affect the so-called Balkan route, to involve a relatively small transit through Bulgaria too, but especially from Greece to Macedonia and then to Serbia and to Central and Eastern Europe, then all realized that Italy's appeals to Europe’s unity were well-founded appeals, to be taken seriously.

And Italy today is no longer alone: is together with Germany, France, Austria, and many other countries that have contributed to major policy decisions of the heads of State and Government of the European Union, which stated the principle that Europe needs to address together the phenomenon of refugees, migrants, and to face together this challenge, because surely migrants or refugees arriving in the Southern and South-Eastern coasts of Europe do not intend to stay either in Greece or Malta or Italy, or Bulgaria: they want to move. All that can take place only with the support of shared rules.

Europe continues to be weak and divided on the adoption of common rules, though. As the European Commissioner, responsible for justice but also for immigration, nine years ago, in 2006, I proposed a European initiative for a common law on asylum and the adoption of a common EU list of “safe" countries.

Safe countries are those countries whose citizens cannot rely on political asylum. A citizen coming from Serbia or Albania certainly cannot apply for political asylum. But, in the absence of a common European list of safe countries, this has happened in many cases, even recently.

For various reasons Member States did not accept my plan of the year 2006; they thought it was too advanced, too ambitious, and criticized me for having ”even” launched the idea of the establishment of a European Corps of border guards. Well, now, nine years later, the Commission intends to propose the establishment of a European Corps of border guards, wants to revive the common list of safe countries, to avoid the absurdity I mentioned earlier, that a citizen of a candidate country for accession to the European Union flees to Germany and asks to be recognized as a political refugee – exhibiting the Serbian passport.

I regret to say that we have wasted a lot of years.

We still have to do much, because little has been done so far, even on European repatriation process, on the rules which allow European countries - perhaps together - to arrange a flight for the repatriation of those who cannot remain in Europe; I am referring for example to economic migrants without residence permits and jobless. This requires the consent of the migrants’ country of origin; however, it is clear that the Governments of the destination countries do not give their consensus if they have no framework agreement with Europe to adjust conditions, modalities and, let's be frank, financial allowances for that country that takes back its migrated citizens, and therefore must carry their burden, and then asks to be helped.

There is also a big problem in investing resources in developing countries, in countries of origin, and there is a problem of granting help to transit countries. I believe for example that transit countries where thousands, hundreds of thousands of would-be refugees remain for months in terrible conditions (I am thinking of Libya), I believe that, with the authority of the United Nations, the United Nations refugee agency, those countries should build reception centres and identify places where any person coming from a particular African country can declare his own nationality and fill in the application for political asylum. In this way, even before people arrive on European territory, with the monitoring of the UN refugee agency, we may get informed about people who are eligible and who are not entitled. Frankly, I don’t see how a citizen from Ethiopia or Egypt could be eligible as a possible political refugee, where an Eritrean citizen, or a citizen who escaped from southern Sudan, have some more reasons to be considered as such.

That implies that origin countries need help in terms of development, opportunities for growth, and transit countries need for support, by creating structures that would allow a previous screening without handing over thousands and thousands of desperate people into the hands of unscrupulous traffickers.

And then there is the theme of the traffickers, the fight against the slavers, … yes this is what we are dealing with. Obviously we've applied rules on international crime which should be further tightened. I think the establishment of a European Naval Mission to combat human traffickers was right, but I also think that that mission is in fact paralysed and unable to hit traffickers, and especially to destroy the boats even in ports of origin of these barges because of the difficulty of Europe to get an adequate Security Council resolution: this course without a mandate from the Security Council cannot be done because it would be in the presence of an act of war against this or that country.

There is also an extremely important issue that concerns the reception and integration of arriving people, whether they are recognised as refugees, or they are economic migrants looking for work. I believe that beyond the national efforts of individual countries, Europe must strengthen its legislation to punish severely, even with confiscation measures, economic businesses and entrepreneurs that sweat migrants and refugees through the use of illegal employment.

Too many countries, including Italy, my own country, know the drama of the exploitation of seasonal workers being illegally hired: it’s a real slave market, from the hands of the trafficker to the hands of slave trader, who uses them and that makes them work as it happened centuries ago. They are paid five euros per day, maybe ten euro in my country, where life is a bit more expensive, working to pick tomatoes and oranges.

Well, we can't allow soft punishment or no punishment at all for the entrepreneurs indulging in this horrible exploitation of human beings. Controls would be needed, more stringent laws would be needed and, above all, a broader collaboration to identify those cases should be necessary, rewarding undeclared workers who cooperate with the police by giving them a regular job, provided that their complaint has led to the arrest of the unscrupulous entrepreneur who had brought them to work illegally.

But the theme of a correct reception of migrants also brings us to address the theme of integration in our society, because it is obvious that those who want to live in one of our countries, in Bulgaria, in Italy, in France, countries that are European democracies, must learn as their first rule that the Constitution and the laws of the country where they live must be observed, no ifs and buts.

It is clear then that, if on the one hand we must - and we will - certainly accept those who abide by the rules, paying taxes, sending their children to school, on the other hand we will meet very serious difficulties in accepting those who refuse to do that. The observance of the Constitutions and of the rules of our countries, cannot be subject to any relativist interpretation. I mean, someone says " I have my traditions, I have my rules, I have my culture, I have my religion”. … This is not possible, the law of every country and the cohabitation rules dictate that anyone who accepts, wants, demands to live in a country - such as my own country, for instance – that person must respect the rules of my country. And this may not be subject to any derogation, because otherwise we are giving the message, deeply wrong, that the Italian State accepts those who do not respect the laws. Frankly, I think this is inconceivable.

Even more inconceivable is what happens today, after the horrible terrorist attacks on Paris and on all of us: young people living as our neighbors, in our cities, enjoying freedoms, and plotting against our societies, to kill innocent people belonging to the same democratic States, like France, Belgium in this case, where they use to live. Our democracies shouldn’t be afraid of those terrorists but should be much tougher on dealing with these blasphemous Muslim extremists: life prison, hard prison conditions, complete isolation, and please, never speak about dialogue or try to understand!! And European Muslims, too often silent, should cry all together “not in the name of Islam”. 

There is also an issue relating in particular to the plight of the refugees from Syria who have invaded the countries in the region for years (this is the fifth year after the start of the Syrian crisis). That is a dramatic problem, because it affects millions of human beings, but also because it has made (and still makes) countries close to Syria fragile. I think of Lebanon, of Jordan… It seriously puts the endurance of a great country such as Turkey to the test; Turkey generously hosts a huge number of refugees, but now it lets Europe know that its patience and forces have a limit.

We have righteously confirmed Turkey that Europe stands ready to help, not only economically but also economically. Better if Europe would address the same message to Jordan and Lebanon. In those countries in fact, up to a quarter of the population, if not more, comes from Syria and then they are refugees. And certainly the most important thing of all is that the tragic situation of Syria could finally evolve in a positive way.

Here, once again Europe is called to act but unfortunately Europe has not acted so far. Perhaps Europe is not acting because of the lack of a unified political will, since the divisions between Member countries on this point are strong; perhaps Europe is not acting because it has objectively a great weakness, due to the fact that we have not a common foreign and defense policy.

Syrian refugee drama will be mitigated only when we find a stable solution for the future of Syria.

American disengagement counted heavily, and that is true also for the errors of our American friends, who initially thought of a military action directed against Assad, then they started to understand that Assad's death could not happen from day to night. Finally, when the Russian Federation, together with Iran, have given start to their concrete action on the ground, it was finally understood that a coordination between the main actors in the region was inevitable.

The meetings which have taken place and are still being held in Vienna are absolutely relevant: there United States, Russia, Turkey, Saudi Arabia and Iran sit around the same table to think about the way to end this drama, about the way to destroy (and I use the word “destroy” because it is the appropriate one) Daesh terrorism which is threatening the whole world, and about the steps to bring in a democratic political system in Syria, surmounting Assad’s regime with that gradual approach that only a political settlement can identify.

To do that, we need the agreement of the regional powers, going from a simple consultation to a real collaboration between Russia and the United States on the Syrian soil; the entire international community must share the will to help afterwards, transition, development.

These are the many things that Europe should do, and that were done only partially. However, they are challenges that do not concern only Europe, nor the individual European Union countries that are too small, or very small - even the greatest among them - in comparison with the global nature of these challenges. Immigration, a global phenomenon, cannot be ruled from Rome or Sophia or Paris: it can be ruled only together, involving Africa, a continent which can give great opportunities, but - if left to itself - will certainly arise very delicate and hazardous conditions whose highest possible price will be paid by all of us Europeans. The EU-Africa meeting in Malta, a few days ago, left intact the mutual distrust and the differences of opinions.

And so, in conclusion, solidarity among European countries is necessary because the issue of migrants or refugees is not an issue of this or that country, but of all of them; solidarity towards the countries of origin that should be assisted for promoting their economic revival and creating conditions for development. Then we need strategic actions and policies in order to stabilize the Middle East, which is a time bomb for the whole world, from Syria to Iraq, to Afghanistan, where the Caliphate is taking root. Moreover, a collaboration between police forces and border guards is necessary to have a European system that can really crush human trafficking across the Mediterranean, as well as on terrestrial and Balkan routes, and finally mark our Europe’s redeeming.

Wish I could forget the scenes of TV channels around the world which have shown children and women, who have nothing to do with terrorists or suspected terrorists, climbing over barbed wire and driven back by Governments of democratic countries that pride themselves, quite rightly, upon the fact they belong to the European Union and NATO. I would like to delete those images and remember only the images of thousands and thousands of people that all our countries’ brave men and women of the police forces engaged in rescue have saved at sea. 

I wish I could remember those scenes, and not the scenes of police beating the Syrian women fleeing war. Those scenes have marked a dark moment in the history of Europe, and I believe that we should put them behind us saying with great frankness that if we want an integrated Europe, if we want a political Europe, if we all believe in Europe's future, then Europe must be an actor on the international scene. In the case of the terrible scenes we've seen, Europe was not an actor: Europe has shut itself in the selfishness of Nation States and missed the big challenge that it could have faced and won.

All that is not over yet; we will have a lot to prove. I hope that the upcoming evidence Europe will give, will be up to our past and to the future we wish to have in front of us instead. 

Thank you.



18.11.15 | Posted in , , , , , | Continua »

EU and the new challenges of the XXI century


Lectio Magistralis of Franco Frattini at the University of Sofia, 17th November 2015

When, back in the 1950s, the founding fathers of the European Union thought of their dream of integration, they had in their mind a deeply political project. The historical letter sent by Schumann in 1950 outlining his idea of Europe contained a project where political integration was the aim, economic integration was a tool and an intermediate step, and its final destination was an integrated continent with a leading role on the international stage. 

Over the years this project became more clear, for example through the efforts made by Alcide De Gasperi, another of Europe's founding fathers, who supported the European defence project that failed because of the French refusal by De Gaulle to join a project that somehow exceeded or accompanied the national armed forces. Consequently, the European dream of De Gasperi, the dream of a strong Europe in foreign and defence policy, met its first major setback.

Certainly, after many decades, Europe has made extraordinary steps forward. We have defined a common market; we have abolished customs and customs duties; we have launched a major project of economic governance; through the Maastricht Treaty, we have defined a single European currency, the Euro, with the possibility of adopting it recognized to all EU member countries that so desire and which meet all the parameters and requirements. An open, inclusive project that - if future conditions will allow that - will involve all the members of the European Union.

I believe, ladies and gentlemen, dear students, that nobody should forget - not even for a moment - that in the midst of the dramatic economic and financial crisis which has hit Europe in the most recent years, the interventions of the European Central Bank (a further tool coming from the great strategy implemented in Maastricht) constituted the only strong and, thankfully, insurmountable barrier against international speculation that hit the various country-systems, government bonds, stock-exchanges, and could possibly lead to the collapse of some less economically strong countries.

Although these interventions concerned only the Eurozone Member countries, no doubt those injections of liquidity, the flow to national systems granting credit to small businesses, companies, citizens, have led a turnaround thanks to the so-called “quantitative easing”, strongly wanted by the ECB and its President, my fellow countryman professor Mario Draghi; this is a turning point we must not take for granted, and for which we must recognize this European instrument functioned well.

Then, now, what is Europe really missing in its path towards its further integration? What's missing? Which political steps haven't we accomplished, if we think about what the founding fathers had before their eyes already in the 1950s?

What has been missing so far - and is still missing - is the transition from a strong economic integration to a political governance of the European economy, starting with the Eurozone (but not only); and certainly even the action, the political leadership, which in my opinion would be essential for the European integration, in the two key areas of foreign policy and defence policy: two sectors which are absolutely essential if we want that our Europe has its place in the world.

You have studied, you are researchers, you know Europe; so there is no need for me to point out that in the globalized world no country - not even the biggest, the strongest - is able to act all alone; not even a small group of countries, albeit important, albeit strong, could guide alone the solution of the crises that are ravaging entire regions of the world. I think in particular of the Middle East, I think of the most ill-fated areas which faced and still face Daesh terrorism, the so-called Caliphate; I think of the unstoppable crisis in Libya and Somalia, and in the Saharan Africa. All I have mentioned is about the Mediterranean basin, a region where Europe should be the main actor and unfortunately it is not. Let’s think of the large negotiations that have characterized the agreement to stop the nuclear proliferation program of Iran. Europe was present but - as it is obvious to all - the agreement was reached because the United States and Russia, with China's support, fortunately found an agreement on the parameters that could be accepted by Iran, and then resulted in the signature of this agreement in Vienna.

If I think of another time in our most recent past, I could quote the Minsk agreement between Russia and Ukraine: I hope it will be fully applied and implemented. However, the Minsk agreement should have shown the Europe’s signature, the signature of those who represent it, and not only the laudable initiative of two European countries’ prominent leaders (Germany and France). Europe was absent, and not only on that occasion.

Yet, ladies and gentlemen, dear students, when Europe has been able to delineate a line, a strategic action, with a shared vision, in its external policies or in those concerning the nearby areas, then Europe has been successful. Probably, the most successful case in the last twenty years was when Europe could outline a strategy for the Western Balkans that, through the dissolution of Tito's Yugoslavia, albeit at the cost of great sufferings (even implying an action where Europe, NATO, and the United Nations have done much - and had to do much), has led to avoid new nationalisms, new extremisms: a path where the Western Balkan countries recognize themselves as part of Europe, in the name of an accession which for some has already become a reality, and for others is becoming a reality in the future.

It is clear that this is the context where we can identify the path that led to the accession of Bulgaria to the European Union: a path which I have contributed to, as a Commissioner, and Vice-President of the Commission, even with negotiations on most delicate and sensitive dossiers. I remember the negotiations here in Sofia, on the chapters relating to justice, the fight against corruption, security, where this country has made enormous strides, although still further progress must be made.

Therefore this success story, the enlargement itself, the strategy for the Balkans, the reunification of the countries who had known the drama of Communist totalitarianism, all of them represent a time when Europe was an important actor on international politics.

Why doesn’t the same happen again on other occasions? I wonder why Europe is divided when we think about the Middle East, between countries that voted in favour of the recognition of the Palestinian State, others who abstained, while others voted against. Certainly Europe has not exercised its weight.

And again, when it comes to define our line of action against Israel... There are people who have doubts about the non-negotiable right of Israel to defend itself, its own security.

Therefore, in situations of extreme delicacy or of extreme gravity, Europe has not been able - and still it is not able - to work out its own foreign policy process. If I think of the Mediterranean region, despite the important initiative which was adopted in order to establish a Naval Mission for prevention (but also to fight) human trafficking, a European Union Naval Mission, when we come to the practical aspects of this mission, well…, it cannot simply function, because Europe has not obtained from the Security Council the adoption of a resolution allowing armed enforcement proceedings against the traffickers yet, including the destruction of the boats carrying the desperate people arriving on the shores of Europe. So, in that case, we have a mission which is relevant in its objectives, a European one -because it derives from a unanimous agreement among the European countries - which is essentially paralyzed, because Europe is unable to play a strong role today before the Security Council: for example, in order to obtain a resolution on Libya, a resolution we have been waiting for too long and which has not arrived yet.

Those examples I'm recalling with deep sadness – I have to say, because I am one of those who would really want a Europe united on foreign policy and defence and security – those examples demonstrate that more still needs to be done and the obstacles are certainly not technical: they are rather political.

A long way back in 2003 Italy had the honour - due to the rotating Presidency of the European Union - to negotiate a reform of the treaties, which led, after important agreements, to what we called the “Constitutional Treaty” of the European Union. Personally, in my quality of Italian Foreign Minister, I chaired the Foreign Affairs Council at that time. The Treaty, as you know, never entered into force, because the French and the Dutch, after a referendum, rejected it, fearing an excessive integration: therefore, they unfortunately showed that the leadership of those countries had not been able to explain, to convoy a vote for Europe, instead of a vote against Europe.

The Lisbon Treaty was adopted instead: certainly less ambitious, when compared to the Constitutional Treaty signed in Rome, but definitely the best possible compromise, under the circumstances, given the times, given the still recent eco of the French and Dutch rejection of the Treaty of Rome (it was the year 2008). Well, in the Lisbon Treaty, instruments exist - and they are all institutional instruments - which allow, for example, establishing an enhanced cooperation, like the one that was established a long time ago for the common currency, the euro, among a group of at least nine countries that decide in the field of defence and security, to begin with. That wouldn't certainly be the European army: conditions do not allow that, and I think conditions will not be favourable for a long, long time yet. But it would be an extraordinary step forward, if countries like Italy, France, Germany, Spain, Poland, countries with a tradition of the armed forces, and already used at international engagement in the Atlantic Alliance, decided along with others - and why not Bulgaria? - to share some of the strategies, and especially some of the resources for security and defence.

I know that some pilot projects have been launched, I know that there are the so called “battle groups” which have worked however quite bad so far. And I know that joint battalions’ initiatives are being established between pairs of countries: my country is participating in initiatives of this kind. But pilot experiments are experiments which are totally distant from an institutional system able to bring countries next to each other in order to share strategies, resources and means, a group of countries, under the Lisbon Treaty, and in accordance with the rules that we follow.

However, a political precondition is needed in order to make all this really happen: the political leaders of the Governments should understand that more integration in the field of defence, foreign policy, security policy and in the fight against terrorism, does not mean a concession of sovereignty: it is not a waiver of the national interests, but it is instead an act of force, an act that would make our Europe stronger.

It is therefore obvious that, if the political leadership will still be missing, there won’t be any way to explain people and parliaments that a more United Europe in outlining strategies for common foreign, security and defence policies means a Europe that weighs more in the world, representing a global actor that can sit as an interlocutor credible, to be listened at, at the tables where global powers from China to India, to the United States, to Russia already sit; tables where certainly the largest and most powerful among the European countries has and would have a minor or even marginal role, if alone.

I see the need for a common European policy in order to tackle challenges that affect us directly. I think of the last global challenges: migration, the plight of refugees, a challenge that this country, Bulgaria, as a transit country, has known and still knows, and that my country, Italy, has known for years and years with hundreds of thousands people arriving on the southern coast of Sicily, fleeing from wars, famine, ethnic ravages.

This challenge cannot be the challenge of Bulgaria, of Italy, of Hungary. It must be the common challenge of Europe. This challenge has not been met so far, because of national egoisms, of the willingness of countries who preferred attracting the votes of political extremists and xenophobes rather than outlining a strong and courageous policy explaining the world - but above all their own peoples - that Europe has the pride to be the land of rights and opportunities (we even gained the Nobel Peace Prize!). The disgrace of desperate people fleeing war who nevertheless are not accepted, is a shame that we should absolutely delete.

Europe failed even on that ground. How many summits of Heads of Government have unnecessarily confirmed that there were agreements already on the paper and never translated into reality? Agreements, which provided and provide for solidarity with the most vulnerable Countries, transit countries such as Greece, Bulgaria, Hungary, and Slovakia. Transit countries such as Italy, like little Malta, are asking for solidarity, shared responsibility and burden sharing. However, so far no agreement has been translated into reality.

And, you see, it is not credible that Europe, facing the world, solemnly promises to allocate some two billion euros for development, the growth of the countries of North Africa, the Mediterranean basin, or the countries of origin of migratory flows, and even today, after those commitments by the heads of Government, the European Commission tells us that only 28 million have been earmarked - out of two billion solemnly promised.

You understand that the world, which is watching us, watching our Europe, cannot help evaluating actions such as those in terms of low credibility.

So, ladies and gentlemen, dear students, it is necessary to have a vision. I don't think in today's Europe there are personalities able to drive or tow Europe all alone. I don't believe neither in the German traction nor in the French-German axis; I do not even believe in small groups of countries. I believe in an integrated Europe where all countries share, proportionately, the common responsibilities, where there are no series A and series B countries.

But this vision requires a political leadership in the capitals and in Brussels, and it is a political leadership that, frankly, I can't see so far. There is unfortunately a global framework in which leaderships got weakened. The disengagement of the United States of America from the Mediterranean is a fact that worries me a lot, and certainly, the absence of Europe can be perceived.

Finally, we must not look at the amendment of the treaties; we must not look at the integration or the changes to the pacts that have been reached. We have to look at the political choices instead. Political decisions can be taken thanks to the already existing institutional tools. But if we do not add the strength of the political choice to the institutional tool, Europe will go on without having a common foreign policy: before the eyes of the world Europe will still be divided, it will continue not to play that role as an actor, as a producer of security in the fight against terrorism, in the military operations for peace, which should belong to Europe. Europe, as a whole, has been and is still a consumer instead of a producer of security. Looking at the catastrophic terrorist attacks on Paris, we have see how little a big and strong country like France can do alone. We must have more intelligence and police cooperation, we should not allow for save heavens for terrorists on our cities and quartiers. These live as our neighbours, while plotting to kill all of us. Zero tolerance in Europe, shared measures to track the suspects, their mobiles and electronic devices, their movements, and let’s have much tougher criminal legal measure to keep them in life isolation imprisonment. And please, don’t speak about dialogue or trying to understand on those that aim at destroying our civilisation!.

Europe would deserve a role for historical reasons: for example, Europe, first and foremost Europe, should engage in the Mediterranean, without waiting for the armed forces brought here by our American friends from overseas, or by Russia on the eastern side. But if Europe is absent, if Europe is not there, others will take that place and terrorists will enjoy that vacuum for their bloody objectives.

If by chance Europe would be replaced in Northern Africa by the Gulf monarchies, by Arab countries, and they would take that place without Europe, my concern increases. I would not like the combination of economic factors, poverty, despair, lack of development, and political factors, extremisms, the massive conflict between Shiites and Sunnis in the Arab world, I would not like seeing Europe paying an even higher price, with a growing crisis in the Mediterranean region, whose consequences we will inevitably pay, if all those factors combine.

Speaking of the Mediterranean region, I would rather increase my horizon: it is a region that includes Turkey, which includes the Black Sea, which looks to the Caucasus and involves Bulgaria as a frontier country, like Italy in southern Europe; therefore, it calls for the responsibility of this country, as it calls for the responsibility of all countries, without exception, which think and want Europe as a credible, respected, reputable and efficient actor on the international scene.

You may wonder if this is just a dream. I would rather say it is an urgent necessity, because the world and the bad in the world go faster than bureaucratic decisions, the world does not wait for the choices of others, does not wait for the choices of our Europe. If these choices will be missing, someone else will occupy the place that we have left vacant. Thank you.



17.11.15 | Posted in , , , , , , | Continua »

Parigi/ Frattini: il silenzio degli imam "moderati" mi preoccupa


Intervista a "Il Sussidiario"

“Dopo gli attentati di Parigi sono mancate dichiarazioni forti e impegnative del cosiddetto islam moderato. Non ho visto grandi imam delle dottrine sciita e sunnita prendere la parola pubblicamente e dire, come invece ha fatto Papa Francesco, che uccidere in nome della religione è una bestemmia”. A sottolinearlo è Franco Frattini, ex ministro degli Esteri ed ex Commissario Ue per la Giustizia, la Libertà e la Sicurezza, e oggi presidente della SIOI, che sottolinea come uno tra i pochi imam a intervenire sia stato Ahmed Al-Tayyeb, rettore dell’Università di Al-Azhar al Cairo, la massima autorità religiosa sunnita. L’imam egiziano ha espresso “profonda condanna degli assurdi attacchi terroristici a Parigi a nome dell'islam che è innocente sul terrorismo”. Al-Tayyeb ha rivolto inoltre un appello alla “cooperazione internazionale contro il terrorismo, mostro maniaco”.

Partiamo dal G20 di Antalya. Dopo il vertice cambia qualcosa nelle relazioni tra Usa e Russia?
Per troppo tempo si è lavorato per aumentare le distanze tra Usa e Russia. Avrei voluto vedere molto prima di ieri la foto di Obama che parla con Putin al G20. Finalmente si è capito che occorre un’alleanza tra gli attori globali e regionali per affrontare la sfida del terrorismo. Se Usa e Russia cominciano a collaborare contro Daesh e per la stabilizzazione della Siria, questa è la soluzione.

Per Putin però “restano differenze tattiche” che impediscono un accordo completo …
L’incontro tra Putin e Obama è stato positivo. Sembrerebbe quindi che queste divisioni siano tra gli Usa e alcuni dei Paesi europei. Siccome si sono fatti tanti summit di emergenza più o meno inutili, sarebbe utile farne uno per definire la linea dell’Unione Europea relativamente alla lotta al terrorismo e al futuro della Siria. Se questa ci fosse si supererebbero le divisioni e l’Europa conterebbe di più. Se Putin chiede la dimostrazione di una maggiore unità da parte degli alleati occidentali, credo che sia giusto farlo.

Ritiene che i bombardamenti francesi su Raqqa siano una reazione razionale?
I bombardamenti hanno mostrato che la vulnerabilità di Daesh è superiore a quella degli Stati democratici. E’ stata dunque una reazione giusta, perché impedisce che Daesh tragga dagli attacchi di Parigi i benefici del proselitismo. Dopo quelle della capitale francese, oggi abbiamo delle altre immagini: il santuario di Raqqa è messo a ferro e fuoco. Da domani però ci vuole una visione corale: non si possono fare semplicemente dei bombardamenti per colpire di qua e di là. E’ giusto che dal vertice del G20 esca una coalizione che comprenda Usa, Russia, Turchia, Arabia Saudita e Iran.

Assad non si ricandiderà alle prossime elezioni. A chi giova questo fatto?
E’ sicuramente una notizia importante, perché consente la transizione di cui abbiamo parlato verso un post-Assad, cioè verso un governo della Siria che non abbia più Assad come presidente. Questa intesa giova a tutti, in primo luogo all’Ue che aveva detto che occorre una transizione ma che era impossibile fare fuori Assad dal giorno alla notte. Ora i fatti sembrano dare ragione a questa prospettiva. Bisogna d’altra parte dare atto che Putin ha lavorato dietro le quinte per arrivare a questo importante risultato.

Perché Obama ha insistito tanto per la rimozione di Assad?
Solo due anni fa Obama voleva bombardare Assad e non c’è riuscito perché è stato lasciato solo dai suoi alleati. Non si poteva pretendere che si trasformasse nel suo sostenitore. D’altra parte se noi creiamo un governo transitorio di unità nazionale e dall’1 gennaio iniziano i colloqui tra Assad e i ribelli, ciò implica che il presidente sia parte della transizione. La cacciata di Assad non può essere una precondizione, ma la sua sostituzione deve essere uno degli elementi che si verificheranno durante la transizione stessa.

Come si giustifica il profilo molto basso della Merkel dopo gli attentati?
La Merkel finora ha cercato di agire soprattutto come portavoce di gruppi di Paesi. Con gli accordi di Minsk ha voluto dimostrare ai Paesi dell’Est che si poteva trattare con Putin sull’Ucraina. La Germania del resto ha sempre avuto una politica estera defilata in Medio Oriente. Gli incontri tra Merkel ed Erdogan si spiegano con il fatto che lavorare per fermare i flussi sulla rotta balcanica è un interesse tedesco: quei rifugiati vanno a finire quasi tutti in Germania. La Merkel si è mossa sempre seguendo il suo interesse nazionale, in alcuni casi compiendo gesti molto utili per la comunità internazionale.

Quali sono i pericoli per il nostro Paese?
L’Italia è sempre inserita nei proclami minacciosi di Daesh. Certamente il nostro Paese deve avere quella preoccupazione che le nostre forze di polizia e la nostra intelligence hanno ben presente. Ho molto apprezzato i programmi che hanno portato all’innalzamento ad “Allerta 2”, che in precedenza era stata raggiunta solo dopo l’11 settembre.

Che cosa dobbiamo fare per scongiurare un attentato?
Occorre un monitoraggio persona per persona di tutti i sospetti, che è proprio quello che belgi e francesi hanno fatto assai poco. Ai sospettati non va data la possibilità di riunirsi o parlarsi al telefono senza che la nostra intelligence lo sappia. Per preparare gli attentati di Parigi ci sono stati certamente incontri e telefonate. Se un sospetto terrorista che ha avuto otto condanne, come Abdeslam Salah, noleggia un’auto i servizi di intelligence lo dovrebbero sapere immediatamente.

Come valuta le reazioni del mondo musulmano a quanto è avvenuto in Francia?
Un tassello che manca è la presenza di dichiarazioni forti e impegnative del cosiddetto “islam moderato”. In queste ore è veramente un punto debole. Al di là delle dichiarazioni di ragazzi musulmani che dicono “Not in my name”, non ho visto grandi imam delle dottrine sciita e sunnita prendere la parola pubblicamente e dire, come invece ha fatto Papa Francesco, che “uccidere in nome della religione è una bestemmia”. L’unica eccezione è stata quella dell’imam di Al-Azhar.

Lei che cosa si sarebbe aspettato?
Vorrei sentire qualcuno dei leader musulmani che dica: “Chi uccide in nome del Profeta è blasfemo”. Se non c’è questo tipo di reazione, l’opinione pubblica comincia a farsi delle domande sul fatto che in realtà le autorità religiose dell’islam non vogliono, non possono, non riescono a dire quelle parole chiare di condanna che noi ci aspetteremmo dall’islam europeo.

(di Pietro Vernizzi)

17.11.15 | Posted in , , , , | Continua »

What is achievable by Eu reforms, what gets lost in case of Brexit

The director of the Ditchley Foundation John Holmes, Franco Frattini and former EU HR Catherine Ashton

Debate at the Ditchley Foundation
The UK and the EU: redefining the relationship or heading for the exit? 
29-31 October 2015

SCENARIO
Chair: The Rt Hon Baroness Ashton of Upholland GCMG

The outcome of the British General Election has confirmed that there will be a referendum in 2017, or quite possibly sooner, on whether the UK should stay in the EU or leave. The Prime Minister’s avowed aim is to negotiate with his European colleagues an agreed package of reforms to the EU itself, and to the UK’s place in it, which will enable him to recommend to the British people that we should stay in. For the moment, what the UK will be asking for is known only in outline and it is therefore hard to assess the chances of negotiating success. In any event, the new government face a very tricky balancing act between the demands of some in the UK, including some Conservative backbenchers, for fundamental change, and repatriation of significant powers; and the reluctance of most other governments in Europe to contemplate major concessions just to keep the UK in, not least given the virtual impossibility of significant treaty change on any relevant timescale. 

The background is that most, if not all, other EU members would like to see the UK stay, for a variety of reasons, including the risk to the whole enterprise if a major member leaves. The Germans in particular would be sorry to see the UK go, as an ally on issues such as free trade. At the same time, levels of frustration with the UK are higher than they have ever been, and the UK is seen as having already marginalised itself in many areas. Many partners are therefore unlikely to want to pay much of a price to retain the UK, and may be allergic to being seen to act under threat from London, or to giving the UK special treatment which others may well then demand. Changes to fundamental principles of the EU such as freedom of movement look virtually impossible. Movement in areas like benefits for those moving from other EU countries, and single market protection, looks more feasible, and changes such as liberalisation of services, greater commitment to subsidiarity, less Commission activism, and a larger role for national parliaments should be able to attract support from elsewhere in Europe. 

Such a package, if accompanied by warm language about further reform, might enable the Prime Minister to claim success. However, it would fall far short of what some British eurosceptics are looking for. They are calling on the Prime Minister to use his new mandate to be tough, and are already suspicious that the Prime Minister might try to repeat the ‘trick’ of Harold Wilson in 1975, by selling a relatively small package of change to the British people as a major negotiating achievement. Some eurosceptics would not of course be satisfied with any package as their aim is simply to leave. Whatever the negotiated package, there will inevitably be divisions inside the Conservative party during the referendum campaign. Of the other main parties, Labour is likely to argue for staying, but with a vocal minority against; the Liberal Democrats and Greens will be in favour of the status quo, as will the Scottish National Party; UKIP will be against. Business is likely on the whole to be in favour of staying, depending on the nature of the package negotiated by the Prime Minister, as are the trade unions, but a significant part of the written press may well be arguing to leave. The current opinion polls suggest that the British people would vote in favour of staying if there were a referendum now, but polling results in this area have varied widely at different times, and the result of the actual referendum is impossible to predict at this stage. 

There is also a clear potential link between the result of the EU referendum and the future of Scotland within the UK. The Scottish Nationalists are arguing that all parts of the UK have to vote for leaving before the result can be valid. If this demand is not accepted, as is almost certain, and if Scotland votes in favour of staying while the overall vote is to leave, this could fuel the Scottish independence campaign. 

Overall, the stakes could hardly be higher, and the issue is likely to dominate British political life for the coming period, even if public opinion is not highly engaged for now. This conference will aim to bring together all sides of the argument, and key players from outside, to look dispassionately at the prospects and if possible to make recommendations on the negotiations and the conduct of the future referendum campaign. 


MY VIEWS
Major changes to EU treaties or to the relationship EU-UK are not easy to achieve in the time available. 

Attitudes of EU M.S. on Brexit are, so far, according to the declarations, in favour of UK to stay in. 

But this happens because it is not yet clear the proposed package nor, consequentially, the price that EU M.S. should pay for keeping UK in. 

A) Here, two factors have to be considered: 
1) the approach by UK to the negotiations: a cooperative and positively oriented one would orientate M.S. to a stronger support, while a take or leave approach would make a number of M.S. – and I think my country too – to a much more rigid position. 

How can we explain to taxpayers that we have to obey to many apparently excessive but necessary common rules, while a country, more “special” than others, is given the right to be out of this or that legislative framework because its leader is pretending so? 

2) The second factor is the evaluation of the costs of the demanded reforms or opts out for the other M.S.

So, if package would resolve in a generally beneficial reduction of EU red tapes, I wouldn’t see problems. But if a given financial burden now shared also by UK would be transferred on the shoulders of the others, the recent memory of what happens with Greece and before with other M.S. would made much more reluctant many M.S.

B) Migration/refugees crisis is another factor influencing many M.S. positions. Again, we couldn’t sell to those public opinions and Parliaments that will have finally to ratify the package, the principle that UK is allowed for a closed doors policy while the others have been and will be in a tough way discussing on burden sharing and quotas? 

None of the national GVTs would like, in that way, to feed populistic and xenophobic parties that are gaining ground everywhere!

C) I cannot indicate one key player country in EU; I think the most interested to keep EU united are the communitarian institutions, COMMISSION and PARLIAMENT.

Their credibility would be completely undermined if one or more key players countries should emerge as the privileged interlocutors on the negotiations process. 

On non EU countries we already know that US, Japan, Australia, while of course referring to the “right of British voters to decide”, voiced their wishes for UK staying in.

In my view, for instance, the high interest of US to negotiate TTIP would be affected by GREXIT, as well as the traditionally strong security transatlantic ties, where a guarantee for US couldn’t be represented only by the Baltics or by Poland.

On the trade and business interest, I think that UK, from outside EU, couldn’t in any case retain the advantages of single market or the position of the City of London.

So, global players like India and China’s interests should be to keep that UK special position since it is one the major assets for making trade and business through UK.

The fact of having, within the EU membership, a country like UK looking in some areas more at the intergovernmental way of deciding, is seen as a possibility somehow to speed up procedures and facilitate results from those global players (China, India, US) that play always very pragmatic games.



1.11.15 | Posted in , , , , , | Continua »

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