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Grecia: l’Europa divisa ha sottovalutato il problema È così anche sulle quote-immigrati


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Frattini: con Berlusconi nel 2011 un’altra arma crearono la tempesta finanziaria per farlo fuori

Intervista a Il Mattino
di Castiglione Corrado

Ascolti, Frattini: da una parte c’è Bruxelles che prova ad imporre un piano di rientro dal debito condito da riforme ”lacrime e sangue”, dall’altra un governo che si difende dall’Europa «dei tecnocrati e dei banchieri». Non è qualcosa che lei ha già visto quando da ministro degli Esteri frequentava Palazzo Chigi? 
«C’è una differenza fondamentale: nel 2011 noi ci trovammo di fronte ad una situazione senza uscita per ragioni politiche e non macroeconomiche. Ormai non è più un segreto, dopo le dichiarazioni dell’ex ministro al tesoro americano Timothy Geithner. I Paesi europei ritenevano che con quel governo l’Italia non avrebbe saputo affrontare la crisi».

Invece... 
«Invece quello che adesso Bruxelles chiede alla Grecia di Tsipras non è molto diverso da quanto ha chiesto all’ex democristiano Samaras. E Tsipras, dopo i grandi sforzi già avviati da Samaras, ha sbagliato a non accettare il piano dei creditori». 

Dunque la colpa è del comunista Tsipras? 
«Già, ma ripeto: non perché è comunista. In ogni caso a monte del suo sbaglio c’è l’errore originale compiuto da Bruxelles». 

Prego.
 «Quando nel 2009 vinse le elezioni in Grecia, il socialista Papandreou rivelò per la prima volta la gravità della crisi ellenica. Ma i grandi creditori - mi riferisco a Germania e Fmi - non capirono. Così elaborarono un piano che doveva andare bene per tutti e quattro i paesi dell’emergenza economica: Irlanda, Portogallo, Spagna e appunto Grecia. Gli altri tre ce l’hanno fatta, Atene no. Vorrà pur dire qualcosa. D’altro canto: quando lo spread italiano era a 500 e quello portoghese a 680, quello greco era a mille».

Insomma, lei dice che a monte c’è un errore di sottovalutazione dell’Europa? 
«È il peccato originale. Per cui, negli anni seguenti, si sono succeduti i governi ad Atene ma i problemi sono rimasti lì, irrisolti e si sono ingigantiti. E se allora le stime del debito si attestavano intorno ai 30/35 miliardi ecco che oggi ragioniamo oltre i 50 miliardi. Con Tsipras il rischio è la deriva della Grecia». 

Cosa succederebbe se vincesse il no? 
«Sarebbe il default. Le banche chiuderebbero. E i greci che oggi a malapena riescono a ritirare al bancomat 60 euro probabilmente dovrebbero accontentarsi di molto meno. La Grecia andrebbe incontro a 5/6 mesi durissimi e poi sarebbe inevitabile il taglio dei fondi da parte della Bce, dunque il ritorno alla dracma».

Ma a quel punto Atene, magari con un altro premier, non potrebbe ritornare al tavolo delle trattative?
 «Dopo lo schiaffo ricevuto è difficile pensare che la trojka accetti subito di tornare al tavolo. È falso quello che dice Varoufakis quando afferma che, nell’eventualità, basterebbero due giorni per firmare Niente di tutto questo. I greci se la vedrebbero davvero brutta. E questo è stato un grave errore di valutazione del governo Tsipras».

Si aprirebbe uno scenario apocalittico. 
«Sarebbe bancarotta vera. È facile parlare dell’Europa dei tecnocrati e dei banchieri, ma intanto fino a ieri proprio i tecnocrati e i banchieri hanno consentito alle famiglie di ritirare i propri soldi. Non si può sputare nel piatto in cui si mangia. Aggiungo: l’Europa non è fatta solo di tecnocrati e banchieri. Ci sono anche i popoli. C’è gente che si informa, che legge i giornali. Come si fa a spiegare ad un lavoratore italiano - destinato ad andare in pensione a 67 anni - che in Grecia si può andare in pensione a 50 anni? E se l’armatore greco può ancora godere di sgravi fiscali al 30% perché in Italia Fincantieri fatica salvare 6mila dipendenti?». 

Se vincesse il sì? 
«Innanzitutto il governo greco dovrebbe prenderne atto. È stato un azzardo questo referendum. Tsipras è stato coerente fino a questo punto. È stato eletto con la promessa che sarebbe riuscito a cambiare i patti con Bruxelles. Ma le cose sono andate diversamente». 

Dopo il referendum che Europa sarà? 
«Certamente vivremo un clima ancora di maggiori tensioni e divisioni. Peccato, perché in fondo il sogno europeo si reggeva proprio sulla fiducia reciproca dei partner». 

Eppure negli anni Cinquanta la Germania del dopoguerra chiese e ottenne solidarietà. Come se lo spiega? 
«Un’altra Europa, altri leader, con De Gasperi, Adenauer e Schumann. Così come quando Kohl unificò le due Germanie e parificò il marco dell’est e dell’ovest: ma allora c’erano Mitterand, Craxi, Thatcher. Quelli sono stati i momenti di maggiore solidarietà, oggi è il momento della maggiore disgregazione. Proprio come avviene sul fronte immigrazione: finalmente si è dato il via libera alle quote, ma ancora non ci si siede al tavolo per decidere come essere operativi».
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Pubblicato da Franco Frattini il giorno 4.7.15. per la sezione , , . Puoi essere aggiornato sui post, i commenti degli utenti e le risposte utilizzando il servizio di RSS 2.0. Scrivi un commento e partecipa anche tu alla discussione su questo tema.

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