|

Franco Frattini ed il futuro della Nato


Share/Bookmark


L'intervista al probabile successore di Rasmussen di Matteo Pugliese


Intervista a Franco Frattini, per due volte Ministro degli Esteri e Vicepresidente della Commissione Europea con deleghe a giustizia e sicurezza, è considerato il probabile successore di Rasmussen come Segretario generale della NATO.

I critici dell'Alleanza Atlantica sostengono che con la caduta del muro di Berlino sia venuta meno la ratio originaria dell'organizzazione. Con il crollo dell'URSS e l'avvento del multilateralismo le potenziali minacce sono scomparse o moltiplicate?
Le minacce oggi sono di più e diverse per caratteristiche, in molti casi sono assimmetriche, provengono da soggetti non statuali: la minaccia del terrorismo internazionale, la minaccia cibernetica, il rischio che stati falliti o situazioni insurrezionali come nel nordafrica o nel MO possano alimentare gruppi terroristici per la destabilizzazione a catena. Tutto questo fa della Nato un attore più necessario di prima perché assume un ruolo per la stabilizzazione, l'institution building, quello che si dovrà fare in Afghanistan dopo il ritiro delle forze, quello che dovremmo fare in paesi come la Libia. È un ruolo nuovo che si aggiunge a quello tradizionale dell'articolo V, non fa scomparire la mission tradizionale, che però evidentemente vede un ventaglio più ampio. Quando la Nato decise di impegnarsi in Afghanistan, così lontano dall'Europa e dall'Atlantico, lo fece perché consapevole che se non si colpisce il terrorismo laddove il terrorismo nasce, poi viene a colpire in casa nostra.

La crisi istituzionale in Egitto ha favorito la nascita di gruppi jihadisti salafiti come Ansar al-Sharia, in Mali gruppi come AQMI, MUJAO e Ansar Dine avevano instaurato la sharia in metà dello stato, in Nigeria Boko Haram imperversa bruciando scuole e distruggendo tutto ciò che appare occidentale. La guerra civile siriana continua e la Libia stenta a riprendersi. Che ruolo ha la Nato in questi contesti? 
La Nato non deve fare l'errore di accomunare situazioni diverse. Penso alla Siria in cui per molte ragioni la ricerca di una soluzione politica è l'unica praticabile, oggi non vi è spazio per un intervento militare, anche se non dobbiamo dimenticare che quando un paese importante come la Turchia ha chiesto di schierare i missili Patriot ai confini con la Siria, la Nato l'ha fatto. Diversa è già la situazione in Libia, dove il governo e il Primo ministro hanno chiesto a Nato e paesi europei di intervenire con un programma di addestramento e institution building, che a mio avviso si deve sviluppare e non è un segreto se dico che il ruolo dell'Italia in questo caso sarà fondamentale. Gli americani con cui da Ministro degli Esteri ho molte volte parlato, come nei colloqui con Hillary Clinton sulla Libia, hanno sempre riconosciuto che quando si parla di Libia e di quell'area del sud Mediterraneo l'Italia deve svolgere una funzione fondamentale. Io so che a questa richiesta libica il governo del presidente Letta ha già dato una risposta positiva. Diversa ancora è la situazione in Mali: vi è stata un'azione francese resa necessaria dall'estrema urgenza, una fase immediatamente successiva in cui devo lamentare la lentezza dell'aiuto europeo alla Francia e al Mali. Molti paesi sono arrivati tardi o non sono arrivati affatto, tra cui purtroppo l'Italia che è arrivata in ritardo quando un supporto logistico italiano sarebbe potuto esserci già dall'inizio. Se il Sahel è terreno in cui si gioca la sicurezza di una regione enorme che va dallo Yemen alle coste occidentali africane, un ruolo di addestramento, di intervento politico-addestrativo della Nato può esserci. Quella è un'area del mondo in cui si saldano terrorismo, fallimento degli stati e grande crimine organizzato che traffica la droga. Ormai la grande rotta della droga che viene dal sudamerica passa per le coste occidentali dell'Africa e si salda col terrorismo. Come in Afghanistan dove il traffico della droga sulla rotta orientale alimenta i gruppi terroristici dei talebani e dei qaedisti. Un ruolo della Nato è quello di costruire istituzioni di sicurezza: creare un ministero della difesa o un'agenzia di intelligence laddove non ci sono, addestrare una guardia nazionale.

All'iniziale scopo di difesa da attacchi convenzionali si sono aggiunti altri rischi come il cyber terrorismo, come si affronta?
Nel 2007 da Vicepresidente della Commissione europea con anche la delega alla sicurezza mi trovai a fronteggiare forse il primo attacco cibernetico non contro un soggetto privato ma contro uno Stato membro, l'Estonia, che fu colpita duramente per molte ore con il rischio di paralisi dei sistemi informatici dell'intero paese. Ricordo una mia comunicazione immediata agli altri paesi europei per sensibilizzare al tema della cyber security. È tema di collaborazione tra Nato e Unione Europea. È tema su cui la tradizionale interpretazione dell'articolo V, cioè intervento a favore di paese minacciato, assume una nuova natura e pone una domanda a cui non è facile rispondere: quando si può configurare nella cyber security il caso di 'attacco a paese membro'? Qual è il fatto o la serie di fatti che possono ai sensi dell'articolo V far ritenere che vi sia un attacco imminente e concreto da far scattare la reazione difensiva? Questo è un concetto sempre valso negli anni della guerra fredda per difendere i paesi dalla minaccia sovietica, fortunatamente non c'è mai stato bisogno di farla scattare. L'unico caso nella storia di applicazione dell'articolo V fu per l'Afghanistan quando l'America subì la grande tragedia delle Torri Gemelle e chiese di intervenire, ma non vi sono altri precedenti. Quindi in caso di attacco cibernetico è ancora più complesso stabilire qual è la minaccia che fa scattare una legittima reazione difensiva. C'è un secondo tema: noi abbiamo ancora network nazionali con standard non uniformi. Non c'è piena interoperatività tra gli standard di sicurezza informatica, ecco perché tutti i paesi devono fare un grande sforzo di 'compiti a casa' rafforzando i network nazionali in prevenzione e reazione, rendendoli interoperabili con quelli degli alleati. Il terzo tema, forse ancora più difficile dei due precedenti, è creare una dottrina sull'uso della rete e degli spazi informatici perché ora non esiste. Vi sono paesi che ritengono l'uso della rete sempre e comunque libero, altri che in nome della sicurezza lo limitano a volte anche fortemente. Gli addetti ai lavori dicono che creare una dottrina comune sia più difficile che mettere in piedi una reazione, perché significa creare presupposti teorici al di là dell'urgenza impellente. Il tema della sicurezza cibernetica deve entrare nelle top priorities, la Nato ha addirittura istituito un centro dedicato al coordinamento e alla prevenzione sul cybercrime in Estonia. 

L'ex analista dell'NSA Snowden ha denunciato il presunto uso di tecnologie per sorvegliare i cittadini americani, persino le ambasciate europee in Usa sarebbero spiate. Il ministro Bonino ha dichiarato che ci saranno chiarimenti tra alleati, che idea si è fatto?
Mi sono fatto molte idee. Sottoscrivo quanto detto dal ministro Bonino e dal presidente Letta sull'alleanza con gli Stati Uniti che resta forte e ci daranno tutte le risposte che cerchiamo, come del resto il presidente Obama ha confermato qualche giorno fa. Come Vicepresidente della Commissione europea ebbi l'onere più che l'onore di negoziare a nome dell'Ue con gli Usa l'accordo Passenger Agreement, sulla tracciatura del traffico aereo transatlantico, e cercammo un bilanciamento tra prenvenzione del terrorismo e tutela della privacy, ottenendo un risultato importante. Ebbi l'occasione di approfondire la normativa americana sulla privacy che è per molti aspetti più stringente di varie normative europee, se ci sono state violazioni lo sapremo. Credo che la chiave di risposta alla sua domanda sia che possiamo immaginare la tracciatura del traffico telefonico o altre attività fortemente invasive della privacy solo quando c'è una giustificazione di tutela di diritti fondamentali come la vita e la prevenzione da stragi terroristiche, è il criterio a cui ci siamo sempre attenuti.
 Abbiamo verificato affermazioni come 'tutte le ambasciate erano spiate' e già l'ex ministro Terzi, da me nominato ambasciatore a Washington, ha smentito. Io ho detto che in circa sei anni da Ministro degli Esteri nel mio ufficio non sono mai state trovate cimici. L'aspetto sorprendente è che personaggi di medio livello nel sistema di intelligence Usa avessero accesso a dati estremamente sensibili. Per primo il caso di Assange che avvalendosi delle password di un ufficiale di medio-basso livello penetrò negli archivi di documenti classificati, poi quest'ultimo esempio forse più grave perché si limita alla denuncia senza prove. O si fanno denunce nelle forme proprie da dipendenti dell'amministrazione prendendosene la responsabilità oppure quest'idea di 'eroi' che mettono a rischio la sicurezza dei propri concittadini io non la capisco. Da Vicepresidente della Commissione affrontai la questione delle presunte prigioni della Cia in Europa, di cui non abbiamo trovato traccia dopo un'inchiesta importante, gli americani collaborarono con me in modo preciso su tutte le domande che formulai. 

La polemica sugli F35 coinvolge più livelli, quello del costo, quello dell'utilità, quello dei difetti di progettazione... Come risponde? E come valuta la dichiarazione del Consiglio Supremo di Difesa?
L'unica parte sui cui non posso rispondere è l'idoneità tecnica e do' per scontato che un progetto del genere comincerà ad acquisire concretamente i primi pezzi quando ciascun aereo sarà stato testato in modo tale da eliminare ogni dubbio. A parte questo vedo molta ideologia in questa vicenda, perché un paese come l'Italia che ha un ruolo internazionale come potenza regionale, ha nel Mediterraneo una priorità assoluta e per esserlo ci vuole un'aviazione militare che funzioni. Il ministro Mauro ha chiarito benissimo in Parlamento che ci sono 200 aerei che sono ormai a fine carriera e devono essere sostituiti. Si è deciso di limitarci ad un numero di aerei inferiore ma essendo un programma esteso sino al 2020 è una sciocchezza che si risparmierebbero 15 miliardi in un anno, semplicemente perché gli aerei arriverebbero uno a uno nel corso degli anni. La dichiarazione del Consiglio Supremo di Difesa è stata correttissima, quando una dichiarazione proviene da un consesso presieduto dal presidente Napolitano non può che essere buona. 

Il generale Breedlove è il nuovo comandante SACEUR, gli Stati Uniti mantengono la golden share sulle nomine in quanto 'azionisti di maggioranza' dell'Alleanza. Qual è il peso dei paesi europei? Una delle critiche mosse è la disparità tra Usa e altri membri nelle decisioni...
Ho potuto cenare col generale Breedlove e ho notato il sostegno ad una mia posizione di impegno sempre maggiore dei partner europei, la nostra conclusione comune è stata che gli europei non possono essere il soft power rispetto all'hard power/security provider americano. Noi europei siamo tradizionalmente per gli interventi politici ma è tempo di essere a pieno titolo produttori di sicurezza e non solo in gran parte consumatori. La prassi vuole un comandante SACEUR americano e un Segretario generale europeo, che mantiene equilibrio tra le due sponde. Il tema del giorno è come far sì che la crisi economica non determini un disimpegno degli europei. Quando ho parlato del Sahel, gli americani chiedono all'Italia di fare di più. Oggi le capabilities non sono avere ingenti forze terrestri ma nuove tecnologie. Hillary Clinton mi chiedeva di fare di più e in Libia si è visto perché l'iniziativa è stata dei paesi europei. 

Il Capo di Stato Maggiore della Difesa, l'Ammiraglio Binelli Mantelli, intervenendo al Nato Defence College di Roma ha sottolineato l'importanza di una sinergia tra Nato e Ue, ma l'Alleanza non rischia di ostacolare la costruzione di forze armate europee, ferme a livelli sperimentali?
Credo che una difesa europea sia un obiettivo politico irrinunciabile. Per noi europei lo è dai tempi in cui De Gasperi vide svanire il sogno della difesa europea per il ritiro francese dal Comando Militare. Non a caso a metà dicembre ci sarà per la prima volta un Consiglio Europeo dedicato al tema della difesa. Io vedo assoluta complementarietà, c'è una divisione dei compiti ma le capabilities sono sempre le stesse e appartengono agli Stati. Ci sono due direttive europee che aprono la strada ai prodotti di difesa e sicurezza nel mercato europeo, ma ancora non si applicano per ostacoli, barriere doganali, bisogna creare uno spazio europeo per l'industria della difesa. Il Commissario Barnier prima delle ferie estive presenterà una comunicazione di estrema importanza che indicherà la strada per creare questo mercato comune. Connesso a questo c'è il tema del procurement, ma in Europa vedo paesi che competono tra loro invece di coordinarsi. Riordinare il sistema di difesa europeo e il procurement sono due temi essenziali per far crescere la difesa europea e integrarla con la Nato. 

Il 2009 è stato un anno importante per la Nato per almeno due ragioni, il ritorno della Francia nel Comando Militare Integrato da lei citato e l'adesione di Albania e Croazia. Ci sono prospettive di allargamento ad altri paesi balcanici e non? È auspicabile un coinvolgimento della Serbia?Il Partenariato Euro-Atlantico può soddisfare le esigenze di allargamento limitate dal Trattato?
Il 2009 è stato un anno importante per una terza ragione, a Lisbona si è approvato il modello strategico Nato di difesa su cui oggi stiamo lavorando, i progressi fatti dagli anni '90 al nuovo modello di difesa sono stati fondamentali. Ci sono paesi molto vicini come il Montenegro o la Macedonia, la Georgia ha un forte interesse ed è stata invitata ad entrare quando le condizioni saranno mature, cioè quando i percorsi di riforma e stato di diritto saranno completati. La Serbia, della quale io sostengo fortemente l'adesione all'Ue, ha una collaborazione con la Nato per l'intervento in Kosovo, ma è necessario che il paese chieda di entrare, al momento questa richiesta non c'è. L'Ucraina ha detto con chiarezza che la strada è ancora lunga. Riguardo ai partenariati, alcuni stati non chiedono di far parte della Nato ma partecipano ad azioni operative, come i paesi arabi del Golfo, le esercitazioni con Israele, la Giordania.. sono fondamentali perché si tratta di paesi che nelle regioni di riferimento portano una cultura della sicurezza e della stabilità che è quella della Nato. Comprendono Nuova Zelanda, Australia, Corea del Sud e Giappone. È un valore aggiunto, ma la Nato non è il poliziotto globale che sta ovunque e in ogni momento, ci dotiamo di alleati affidabili senza la pretesa di farli aderire. 

Le relazioni con Russia e Cina negli ultimi anni si sono distese e aperte a massicci scambi commerciali, nonostante restino notevoli attriti sul rispetto dei diritti civili nella prima e dei diritti umani nella seconda. La Nato nasce anche come alleanza di democrazie e stati di diritto, come possono convivere questi due aspetti?
Distinguerei moltissimo la Russia dalla Cina. La Russia è un paese con cui la Nato ha relazioni politiche importanti per merito dell'Italia con il Nato-Russia Council, sul tema della cooperazione. Con la Cina non esiste una cosa simile e penso sia difficile immaginarla. Il consiglio Nato-Russia dipende da alcuni fattori, come la lungimirante politica reset button del presidente Obama per ripartire con buone relazioni. I vicini non si scelgono, la Russia è un attore importante di cui si deve tener conto, abbiamo interessi comuni come la lotta al terrorismo e al traffico di droga. Fin'ora non possiamo dire che il consiglio abbia funzionato bene, ma a livello tecnico ci sono iniziative che si stanno sviluppando. Poi ci sono i grandi nodi politici, quando il presidente Obama dice noi proponiamo lo smantellamento progressivo degli armamenti nucleari io lo sottoscrivo e mi auguro che anche la Russia lo faccia.

A dire il vero il presidente Putin ha lasciato cadere la proposta di Obama.
La proposta è stata lasciata cadere perché il momento delle relazioni Russia-Usa non è dei migliori, io mi auguro che l'incontro tra Putin e Obama abbia luogo presto e con successo. Penso che la Russia abbia apprezzato che quando si è aggravata la crisi coreana gli americani abbiano dirottato forze missilistiche dall'Europa al Pacifico, dando la prova ai russi di quello che dovrebbero sapere e cioè che la difesa missilistica Nato in Europa non è contro la Russia, ma contro minacce statali e assimmetriche che non provengono da Mosca. Questo la Russia lo sa ma c'è ancora difficoltà a riconoscerlo pubblicamente. 

Lei è stato proposto come prossimo Segretario generale della Nato dal presidente Monti col sostegno del presidente Napolitano, confermato dal presidente Letta e accolto positivamente da molte cancellerie europee...
È un grandissimo onore che il presidente Napolitano e i primi ministri Monti e Letta abbiano sostenuto in tutte le sedi la mia candidatura. Ma siccome mancano mesi a una decisione politica, fino al momento in cui tutti non sono d'accordo penso che la cosa migliore sia mostrare prudenza e modestia. Posso parlare della mia esperienza come Ministro degli Esteri e Vicepresidente della Commissione europea, ma la scelta si fa sulla persona che meglio può esprimere quel ruolo senza criteri di partito o di lottizzazione.


Ti piace questa storia..?

Ricevi gli aggiornamenti ogni giorno! Abbonati!

Seguici!

Pubblicato da Lucrezia Pagano il giorno 13.7.13. per la sezione , , . Puoi essere aggiornato sui post, i commenti degli utenti e le risposte utilizzando il servizio di RSS 2.0. Scrivi un commento e partecipa anche tu alla discussione su questo tema.

0 commenti per " Franco Frattini ed il futuro della Nato"

Scrivi un commento

Aree del sito