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Il sentiero stretto del Pd: può esistere l'agenda Monti senza Monti?


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Colpisce la reazione meravigliata e confusa dei partiti alla disponibilità manifestata da Monti. Colpisce soprattutto l'inquietudine del Pd, cioè la forza che ritiene – con più di una ragione – di essere avviata a conquistare la maggioranza relativa alle elezioni. Il partito di Bersani dà l'idea di essere stato preso in contropiede e di non sapere come destreggiarsi. In definitiva l'argomento del segretario è che il governo tecnico finisce con l'esaurirsi della legislatura e il prossimo sarà un esecutivo fondato su una maggioranza politica. Il che è vero, ma non esclude affatto l'ipotesi del Monti-bis.

È del tutto evidente che si va a votare per legittimare i partiti e da loro ci si attende poi un accordo politico. Se possibile di alto profilo. Magari anticipato da una sorta di "patto" preliminare sui temi caldi dell'economia e della moralità pubblica, in modo da impegnare i contraenti ad applicarne i criteri: quali che siano le maggioranze in via di aggregazione. Ma tutto questo non cancella Monti dalla vita pubblica. Al contrario lo rimette al centro con un ruolo cruciale, perché si tratta dell'uomo con più esperienza per affrontare i futuri passaggi della crisi e gestire il rapporto fra l'Italia e i soggetti internazionali da cui dipenderà la nostra stabilità finanziaria: dalle cancellerie europee agli Stati Uniti, dalla Banca centrale europea al Fondo monetario.

Monti ha voluto «tranquillizzare» i mercati con la sua dichiarazione di disponibilità? Sì, senza dubbio. Ma questo non è un dettaglio secondario, come crede qualcuno (e stupisce che Renzi abbia abbracciato l'interpretazione riduttiva). I mercati e soprattutto le cancellerie si sentono rassicurati se Monti resterà a Palazzo Chigi. Qui è il punto da cui bisogna partire per costruire intorno al premier un adeguato quadro politico. Un quadro che contenga anche le famose riforme destinate ad «aprire» il paese e a metterlo in grado di essere più competitivo.

Questo è lo spazio che si apre alle forze politiche, in primo luogo al Pd. Non ha molto senso parlare di «agenda Monti» e poi non accettare la realtà: vale a dire che il programma, in questa fase, è logicamente collegato all'uomo che meglio lo incarna e lo garantisce. Se si scinde questo nesso (sì all'agenda, no all'ipotesi che Monti guidi ancora il governo) si entra in una pericolosa contraddizione che nasconde un'incertezza di fondo. Perché allo stato delle cose non può esistere il programma di Monti, declinato come vuole l'Europa, senza Monti.

Tanto più che la prospettiva politica del centrosinistra prevede, come è noto, un'intesa con Vendola prima del voto e un accordo con Casini dopo le elezioni. Ma il primo è un avversario dichiarato delle politiche montiane, mentre il secondo è un convinto sostenitore del presidente del Consiglio. E possiamo aggiungere che all'interno del Pd esiste un'ala (Enrico Letta, Morando e molti altri) che vede nel premier il naturale punto d'appoggio di un'iniziativa realmente riformatrice del centrosinistra.

Ne deriva che il dibattito sul Monti-bis è alquanto surreale. A meno che non si voglia affermare il principio che il premier è sempre eletto dal popolo, coincidendo con il leader del partito di maggioranza (ma la nostra Costituzione dice altro). Questa affermazione richiede allora che si difenda il sistema di voto maggioritario, anche nella sua versione più criticata, il "Porcellum". Se è così, sarebbe meglio saperlo.


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Pubblicato da Lucrezia Pagano il giorno 29.9.12. per la sezione , . Puoi essere aggiornato sui post, i commenti degli utenti e le risposte utilizzando il servizio di RSS 2.0. Scrivi un commento e partecipa anche tu alla discussione su questo tema.

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