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Gli ultimi due mesi vissuti sotto assedio con il Colle


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Due mesi sotto assedio. L'angoscia e l'amarezza di sessanta giorni, esplosi con la morte di Loris d'Ambrosio. Quando Giorgio Napolitano apprende dell'infarto del suo consigliere giuridico, il tempo si ferma. Decide di dare, in prima persona e di proprio pugno, la notizia della morte del suo consigliere giuridico. E sconvolto. Lo dice, lo scrive. Ed è "atroce il rammarico" per quella indegna campagna stampa. Sa quanto D'Ambrosio fosse turbato, toccato nella sua identità e ferito. «Ma si massacra così un uomo onesto?» aveva detto il consigliere a caldo a un amico - e collega - di una vita, mentre tra le sale del Quirinale, troppo solenni perché vi possa esser spazio per l'amaro o il dolce della vita, nulla dell'umano sentimento trapelava. 

Ma non è solo questo. Il dolore scoppia in rabbia perché l'infarto che ha colpito D'Ambrosio, Napolitano lo teme per le istituzioni. Un attimo. Tanto dura un cuore che si spezza, e tanto può bastare anche per il Paese. Cosi, Napolitano lo mette nero su bianco, sono il dolore e la rabbia che parlano dopo un assedio iniziato con quel primo far filtrare le telefonate a D'Ambrosio di Nicola Mancino - cui certo non si poteva evitare di rispondere, trattandosi di una persona fino a poco tempo fa vicepresidente 

Sulla scaletta dell'aereo ho avuto un momento di incertezza, ma ho pensato a voi del Csm. Goccia a goccia, un pezzetto di telefonata al giorno. Fino a lasciar cadere, e poi pubblicamente affermare, che si, ci sono anche telefonate di Napolitano. Forse si bruceranno, forse servirà un'udienza, il luogo poroso dal quale colano tutte le intercettazioni di cui è vietata la pubblicazione. E quelle del Capo dello Stato non sono semplicemente proibite: sono inesistenti perché egli è, a termine di Costituzione, non responsabile degli atti compiuti durante il mandato. 

Eppure il Quirinale si confronta con quella campagna stampa, risponde, chiarisce, rende pubblica immediatamente la lettera del segretario generale Donato Marra al procuratore di Cassazione, «il senatore Nicola Mancino si duole del fatto che...». E Loris d'Ambrosio che non si sottrae, dà un'intervista, controbatte e spiega proprio a quelli che poi titolano «I misteri del Quirinale» e allora, siamo al 16 giugno, è Napolitano a dire: qui non c'è nessun mistero, pensarlo è "soltanto risibile". Perché com'è possibile dimenticare la Storia, credere che per agevolare la trattativa Stato-mafia bastasse sostituire Mancino a Scotti e Conso a Martelli, dimenticandosi che di mezzo c'è un cambio di governo e anche che il Guardasigilli cambia perché era stato inquisito, e proprio da Di Pietro a Milano? Com'è possibile affastellare date, dettagli, fatti? Com'è possibile, soprattutto, che oltre alla Storia non contino più neanche le storie, e le storie personali, quelle di noi qui dentro, la mia nel pci e nelle istituzioni italiane, e quella di D'Ambrosio dalle indagini sui Nar, a Falcone, all'aver tenuto in mano la penna con cui è stato scritto il 41-bis? Com'è possibile - anche, obiettano gli interlocutori che son per solito compagni di strada da una vita - che a difesa sia solo l'eco lontana e diluita di chi è in altre faccende affaccendato, e forse anche impaurito... 

Discorsi, spezzoni di frasi, il sentimento accumulato sotto l'assedio, che alcuni interlocutori, abituali e intimi di Napolitano, ben conoscono. E che abitano un timore: il Quirinale incalzato, non da oggi ma adesso con una vera e propria campagna stampa, epitome dell'antipolitica montante. Questo preoccupa Napolitano: il gran polverone che tutto livella, tutto copre, tutto rende indistinto ed equiparabile. Che alla fine, e forse proprio come fine, destabilizza. E in un momento come questo... Sono stati due mesi di stillicidio, fino alla difficile ma necessaria decisione di porre, il 16 luglio scorso, alla Corte Costituzionale il conflitto d'attribuzione. Dover spiegare una, due, tre volte in pochi giorni che sono le istituzioni che si sta difendendo. Dover gridare, solo qualche giorno fa, "io non ho nulla da nascondere". Doverlo fare perché si sta tentando di dare di un atto istituzionale una lettura perversa, come se si stesse cercando di nascondere qualcosa, e su una materia gravissima e incandescente, che riguarda Stato e mafia. Io, proprio io che ho sempre chiesto chiarezza, una, dieci, cento volte e anche dall'aula bunker di Palermo: la democrazia non avrà pace finché non ci sarà verità. Su tutte le stragi, tutte, quelle di mafia e quelle di Stato. Adesso, l'assedio ha fatto una vittima nello Stato. Loris D'Ambrosio non c'è più.
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Pubblicato da Lucrezia Pagano il giorno 27.7.12. per la sezione . Puoi essere aggiornato sui post, i commenti degli utenti e le risposte utilizzando il servizio di RSS 2.0. Scrivi un commento e partecipa anche tu alla discussione su questo tema.

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