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Frattini a Inaugurazione dell’Anno Accademico dell'Università di Perugia


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Intervento del Ministro Frattini all’Università per stranieri di Perugia
Ringrazio il Magnifico Rettore per l’invito a intervenire in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico e del conferimento della laurea honoris causa all’amico e collega, Sheikh Dottor Mohammad, che qui si sente doppiamente a casa come valido professore universitario, e la cui azione è da oltre un decennio improntata alla costante ricerca della cooperazione regionale, in un fruttuoso dialogo con l’Italia e con l’Europa. L’occasione mi è tanto più gradita in quanto intervengo davanti a una platea di studenti universitari.

Quanto e cosa dobbiamo alle università?
Ci chiediamo spesso quale sia la missione delle università nell’era della globalizzazione, quale sia il valore aggiunto che esse possono fornire agli studenti di oggi, che hanno accesso immediato al sapere attraverso internet ma che registrano ostacoli e ritardi al momento di entrare nel mondo del lavoro.

E’ una domanda che si pongono tutti quegli studenti che, come voi oggi, investono negli studi accademici la più bella stagione della vita e significative somme di denaro. Ma mi chiedo se, prima di formulare una risposta, non sia il caso di porsi un’altra questione e cioè cosa e quanto dobbiamo noi tutti alle università. A mio avviso, la risposta a questa seconda domanda include anche quella alla prima questione.

Le università sono libere e aperte al mondo
Le università nascono libere. Questa è la loro identità. L’università è un luogo aperto di discussione, perché è al servizio della libera conoscenza, della ricerca e mai serva del potere. Nella vita di facoltà gli studenti assimilano il rispetto per i diversi punti di vista, abituandosi al libero confronto con l’altrui opinione, giungendo al successo con il merito e non con la sopraffazione e il favore. Il merito e l’apertura al confronto sono dunque il primo punto di forza.
Le università nascono inoltre con una naturale vocazione a guardare il mondo. Non solo qui a Perugia, dove siete per statuto aperti agli stranieri, all’internazionalizzazione e realizzate numerose attività per la diffusione della lingua e cultura italiana in vari paesi e continenti. Ovunque la ricerca è un formidabile strumento di dialogo e di superamento di steccati: politici, ideologici, nazionali e culturali. La ricerca è per natura incline alla collaborazione e alla condivisione del sapere. I suoi scopi sono rimasti immutati nel tempo: aprire le menti, rendere liberi, favorire la maturazione civile, offrire nuove opportunità. E per raggiungerli, sono necessarie virtù, quali la curiosità e il desiderio di conoscenza, sconosciute ai fanatici e antidoto contro ogni fondamentalismo. I ricercatori si disputano spesso la verità, mai la vita.

Il debito in termini di civilizzazione e benessere
In risposta alla questione su quanto e cosa la nostra società deve alle università, osservo quindi che il debito si misura in termini di civilizzazione e benessere raggiunti. La forte domanda di Italia nel mondo, dei suoi prodotti, della sua cultura e della sua leadership morale in difesa dei diritti, è anche frutto della costante e intensa opera di formazione delle nostre università. Cosa saremmo noi italiani senza lo straordinario legato della civiltà giuridica tramandato di generazione in generazione nelle facoltà di giurisprudenza? Cosa sarebbe il nostro Paese senza le scuole di architettura che ci hanno insegnato a modellare i meravigliosi paesaggi delle nostre città d’arte? Cosa sarebbe il made in Italy senza l’attitudine all’innovazione o al design e il gusto per il bello, studiati e sviluppati nei nostri atenei? E certo l’Italia sarebbe più povera senza gli straordinari risultati ottenuti nella chirurgia, nella medicina molecolare, così come nei dipartimenti universitari di fisica o ingegneria.

Le nostre università, nel corso dei secoli, hanno insegnato a mettere l’uomo e i suoi valori al centro di ogni scienza, di ogni studio, di ogni applicazione. Sono diventate epicentri della cultura umanistica, e da esse si è diffusa l’onda d’urto dei diritti che ci rende universalmente riconosciuti. E sono riuscite a realizzare questa missione, resistendo alle richieste di quanti volevano convertirle in scuole professionali funzionali a una società meramente tecnologica. Hanno avuto il coraggio di dire di no a quanti, in nome dell’unilateralità del pensiero, chiedevano di porre il successo, e non più l’uomo, a misura di tutte le cose.

Ripagare il debito con azioni per la tutela dei diritti
Tornando quindi alla domanda iniziale, la mia risposta è a questo punto evidente: abbiamo un enorme debito civile, morale e storico con le nostre università. E’ un debito che deve essere ripagato assicurando al sistema universitario e della ricerca i necessari strumenti finanziari per un suo autonomo funzionamento. Non è vero che con la cultura e con la scienza non si mangia. Al contrario, l’Italia si è alimentata per secoli e ha alimentato il mondo con la cultura e la scienza.
Il nostro debito si salda anche e soprattutto promovendo nel mondo azioni per la diffusione della libertà e della tutela dei diritti. Questo è il modo migliore per dimostrare che anche in politica estera intendiamo trarre ispirazione da quei nobili principi appresi nelle nostre università. E che vogliamo farlo senza impartire lezioni dall’alto, ma difendendo i valori supremi della nostra civilizzazione e della nostra identità con spirito di apertura e rispettoso dialogo. Ecco perché alle sfide globali intendiamo rispondere affermando un nuovo umanesimo, fondato sulla centralità della persona umana.

La dimensione dei diritti in politica estera
La dimensione dei diritti segna il senso della partecipazione italiana alle organizzazioni internazionali. Tale dimensione ispira la nostra iniziativa per l’abolizione della pena di morte, con le risoluzioni dell’Assemblea Generale sulla moratoria; ci fa riconoscere nel mondo per le numerose azioni promosse in favore della libertà religiosa nell’Unione Europea e alle Nazioni Unite; ci porta a sostenere attivamente la campagna per l’eliminazione della pratica delle mutilazioni genitali femminili, e le azioni internazionali per la salvezza dei bambini nelle regioni di conflitto.

Questi valori guidano anche la nostra azione nel Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite di cui da quest’anno, e fino al 2014, l’Italia è tornata a essere Paese membro con il voto espresso da 180 Paesi su 181 votanti! Mi fa piacere dire ciò di fronte a un Ministro degli Esteri di un Paese, che ha perseguito con determinazione lo sviluppo di una forma di governo fortemente improntata al pluralismo, nella cui Assemblea siedono donne elette e che si distingue per il vivace dibattito pubblico nei mezzi di informazione.

In coerenza con questi valori abbiamo accolto con favore l’avvento della primavera araba. Le rivolte in Nord Africa e Medio Oriente hanno confermato che l’aspirazione alla libertà, alla dignità, ai diritti ha carattere universale. Se per anni non c’eravamo accorti del malessere che covava in tanti giovani a poche miglia da noi, è perché non avevamo guardato ai loro cuori e alle loro speranze, ma ci eravamo limitati ad assecondare i nostri interessi. Il coraggio di tanti studenti come voi ci ha aperto gli occhi. Abbiamo finalmente capito che la nostra stabilità e i nostri interessi non sono incompatibili con i loro diritti e il loro benessere.

Vogliamo ora riuscire a sfruttare gli spazi che la centralità della persona umana e dei suoi diritti può guadagnarsi nei nuovi scenari per passare dai partenariati di convenienza ai partenariati di convivenza. Intendiamo contribuire a dare risposte concrete a quanti sono scesi in piazza per rivendicare dignità, libertà, pane e lavoro. E scongiurare così il rischio che l’euforia iniziale lasci il campo al sotterraneo lavoro del fondamentalismo.

Lo facciamo da una condizione di vantaggio. L’Italia è un microcosmo in cui si sono riprodotte, su scala diversa e con le dovute distinzioni, alcune contraddizioni vissute dai popoli della sponda sud del Mediterraneo. Ad esempio, anche nel nostro Paese un tessuto imprenditoriale straordinario coesiste con elevati tassi di disoccupazione giovanile. Anche nel nostro Paese, mentre giungono migliaia di migranti, alcuni dei nostri migliori giovani sono costretti ad andar via per trovare un lavoro che li soddisfi.

Non possiamo dare lezioni. Da Paese di frontiera, abbiamo però strumenti culturali e sociali per comprendere i nostri vicini. E sappiamo di poter contare sulla sensibilità e la cooperazione di Paesi come il Kuwait, alla ricerca di investimenti internazionali volti a promuovere il capitale umano e materiale dei popoli della primavera araba con l’obiettivo di limitare il pericolo di gravi disillusioni.

Le Università: base di partenza di una nuova fase
In questa nostra azione, intendiamo continuare a fare affidamento sugli elementi vincenti della nostra esperienza, a partire dalla vocazione di libertà e apertura del sistema universitario. Puntiamo sulle università per favorire più intensi scambi culturali e di capitale umano tra le due sponde del Mediterraneo, ma anche di nuove tecnologie e progetti imprenditoriali.
Le università non sono solo il libero agone di dialettica, in cui gli studenti di tutta la regione Mediterranea potranno allenarsi alle idee di libertà e giustizia sociale. Le università sono anche le istituzioni più accreditate a svolgere la funzione di incubatori di imprese, favorendo le start-up e le società miste internazionali. Non sembri strano: perché impresa e cultura vanno di pari passo. Insieme alle associazioni imprenditoriali, le università possono aprire nuove e più ampie possibilità di trasferimento di expertise a quei settori in cui fervono cantieri, commesse, scambi.
Scambi di studenti e di docenti

Per sostenere il dialogo universitario tra le due sponde del Mediterraneo, abbiamo anche proposto di estendere l’Erasmus -un programma che ha permesso a milioni di giovani in Europa esperienze di scambio culturale- agli studenti del mondo arabo, inclusi quelli provenienti dai Paesi del Golfo. Vogliamo che anche questi studenti beneficino di un programma di successo, che ha incoraggiato al senso di comunità tanti giovani europei. E’ tuttavia difficile rafforzare oltre certi limiti il dialogo culturale se le politiche sulla circolazione delle persone restano preclusive e restrittive. Motivo che mi induce a chiedere politiche europee meno restrittive in materia di visti di ingresso. Mi batto da anni, prima da Commissario europeo e poi da Ministro, per facilitare i visti agli studenti della sponda sud del Mediterraneo e del Golfo.

Noi intanto lavoriamo per migliorare la capacità di attrarre studenti e specializzandi dall’estero. Crediamo nella mobilità di studenti e docenti, tra una disciplina e l’altra, per favorire la contaminazione positiva tra discipline, ma anche tra persone ed esperienze. Il contatto tra realtà e culture diverse è essenziale per sviluppare nel Mediterraneo allargato l’economia della conoscenza: petrolio del futuro.

Il contributo del Kuwait e dei Paesi del Golfo
In questa nostra azione, siamo certi di poter contare sulla collaborazione del Kuwait, Paese caratterizzato per l’ampia circolazione di idee in politica e sulla stampa, e per un’antica tradizione -così simile alla nostra - di commerci, navigazioni e aperture agli scambi. Ci attendiamo molto dalla prossima entrata in vigore dell’accordo bilaterale di cooperazione culturale e scientifica.
Con il Kuwait e con altri Paesi del GCC, insieme ai colleghi europei più impegnati nella regione, stiamo inoltre organizzando per il prossimo mese un incontro informale a Firenze per elaborare nuove strategie. Vogliamo far progredire la cooperazione e il lavoro di squadra tra due regioni che hanno sempre privilegiato nei loro rapporti la dimensione del dialogo e della comprensione reciproca.

Conclusioni
In conclusione, il nostro obiettivo è quello di creare uno spazio comune delle idee, che consenta scambi e contatti continuativi tra studenti e docenti, costruendo un fronte unico delle forze spirituali e culturali a difesa della persona umana. In questa azione è essenziale il contributo di un’università poliglotta e aperta agli stranieri, come quella di Perugia. Contiamo su di voi, professori e studenti, per diffondere questo nuovo umanesimo che pone le persone al centro del processo di cambiamento della politica.

Dobbiamo assolvere insieme a una seria responsabilità: ripagare il debito di libertà, benessere e democrazia che la nostra civilizzazione deve alle sue università. Lo possiamo fare ascoltando, capendo e aiutando ovunque i moderati, senza pregiudizi e paternalismi, ma con spirito di solidarietà e dialogo. Questo è il nobile legato che il sistema universitario italiano ha tramandato nel corso dei secoli a generazioni di studenti. Questo è il messaggio più forte che intendo trasmettere a chi si appresta a iniziare oggi il nuovo anno accademico.




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Pubblicato da Franco Frattini il giorno 6.10.11. per la sezione . Puoi essere aggiornato sui post, i commenti degli utenti e le risposte utilizzando il servizio di RSS 2.0. Scrivi un commento e partecipa anche tu alla discussione su questo tema.

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