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Intervista a Libero "Contro l’invasione porti chiusi e maniere forti» «Per fermare gli sbarchi servono i blocchi, come fece la sinistra con gli albanesi. Macron sulla Libia si è mosso da principiante»


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«Contro l’invasione porti chiusi e maniere forti» «Per fermare gli sbarchi servono i blocchi, come fece la sinistra con gli albanesi. Macron sulla Libia si è mosso da principiante» 

 Libero 14 Aug 2017
Paolo Emilio Russo

Franco Frattini è stato ministro degli Esteri per molti anni. Ma è stato anche alla Funzione Pubblica, a capo del Comitato di controllo dei Servizi segreti e, soprattutto, vicepresidente della Commissione europea con delega alla Sicurezza. Grandissimo esperto di politica estera, spiega così la regola aurea: «La politica estera è un po’ come la fisica: se c’è uno spazio vuoto qualcuno lo occupa». Ecco perché non bisognerebbe mai arretrare. 
Presidente, come giudica la “svolta” impressa da Marco Minniti alle politiche del governo contro gli sbarchi dalla Libia? 
«È una svolta attesa da tempo, il passo giusto che mancava in una strategia che guardava soltanto - e penso a Mare Nostrum e alle decisioni prese dal governo di Matteo Renzi - all’aspetto accoglienza trascurando però l’altra faccia della medaglia, cioè il suo limite». 

L’accoglienza non può essere illimitata, come sostiene qualcuno? 
«Il limite all’accoglienza sono l’integrazione e l’integrabilità delle persone. Se c’è un numero di richiedenti asilo e migranti economici che ha saturato i centri di accoglienza, questi devono essere ospitati magari a caro prezzo dentro strutture private requisite, magari si concede loro un bonus economico... è ovvio che questo comporta una reazione sociale pericolosa». 

Ci sono stati episodi di intolleranza grave, bombe. 
«È una reazione sbagliata e contraria alla storia dell’Italia, che è quella di un Paese tollerante. Evidentemente si è superato il livello di guardia». 

Non lo pensavano Graziano Delrio e i ministri che volevano fermare il Codice per le Ong?
 «Ha fatto bene il presidente Sergio Mattarella ad intervenire e convincere Minniti a non cedere a chi, dentro il governo, voleva far prevalere solo aspetto dell’accoglienza senza considerare appunto le possibilità di integrazione. Bisogna salvare vite umane, ma anche porre un limite agli sbarchi anche, se necessario, utilizzando le maniere forti. I migranti si bloccano da dove vengono». 

Vengono dalla Libia. Il centrodestra ha chiesto per mesi il blocco navale; era una buona idea? 
«Lo insegna la storia. Si ricorda il dramma dell’Albania, alla fine degli anni Novanta? Io ero al comitato di controllo dei Servizi, il governo era di centrosinistra e al Viminale c’era Giorgio Napolitano. Partivano gommoni velocissimi, imprendibili. Quell’emergenza si è conclusa soltanto quando l’Italia ha mandato le sue navi nelle aree antistanti i porti di Valona. Italia e Ue hanno finanziato progetti di sviluppo e oggi l’Albania è un Paese stabilizzato e addirittura membro Nato». 

Non tutte le Ong hanno firmato il codice, tre hanno sospeso le attività. La loro resistenza è stata una questione di diritto o più politica? 
«Certamente politica. Questi codici sono possibili, si usano in moltissimi campi. Le resistenze di alcune Ong dimostrano solo la loro volontà di continuare a fare quello che hanno fatto finora, ricevendo molti finanziamenti e, in qualche caso, sconfinando dalle regole. È inaccettabile che vogliano sottrarsi ad ogni tipo di controllo». 

Il governo voleva chiudere i porti, ma i suoi critici denunciavano una violazione del diritto internazionale. Era una soluzione possibile? 
«Assolutamente. Uno Stato può impedire l’accesso di navi straniere nei suoi porti, con la sola eccezione, ovviamente, delle navi militari impegnate in missioni internazionali e in avaria, a rischio affondamento. Se scopri che una nave, come dice qualcuno sta facendo da “taxi” ai migranti, la respingi. Non c’è un diritto assoluto ad entrare nei porti». 

A proposito di frontiere. Macron e Merkel starebbero lavorando a cambiare Schengen, a riformare la libera circolazione. È giusto? 
«Ci hanno provato in molti, ma non credo serva. Le regole per chiudere le frontiere temporaneamente ed eccezionalmente esistono già. Anche l’Italia lo ha fatto. Ci sono quasi 30 Paesi che fanno parte dell’accordo e troverei molto sbagliato se pensassero di riformarlo soltanto in due. Un loro intervento bilaterale sarebbe non buono, ma, soprattutto, inutile: se si vogliono cambiare le regole serve una maggioranza qualificata e io oggi non la vedo». 

I francesi non stanno abusando delle chiusure temporanee? 
«Già nel 2011 Nicholas Sarkozy, quando l’Italia era attraversata da un flusso di tunisini, provò a chiudere la frontiera di Ventimiglia. Da ministro degli Esteri feci una azione sulla Commissione europea che intimò alla Francia di riaprire la frontiera. Così si fa».

 L’invito di Macron al premier libico, il tentativo di evocare a sè la gestione di quella crisi, è stato una forzatura? «Più che altro è stata una mossa maldestra tipica di chi non ha esperienza di politica estera e, soprattutto, non conosce la Libia. Quando ci trovammo di fronte all’inizio della crisi libica dovuta alla caduta di Gheddafi, - proprio per colpa della Francia - una delle prime cose che abbiamo imparato è che quello è un Paese fondato su regole tribali. Pensare di chiamare due persone e credere che possano rappresentare berberi, tuareg, abitanti del Fezzan...». 

La Libia è solo il terminale di un esodo che parte dalla Siria. Non sarebbe più facile pacificare quella zona? 
«La drammatica situazione della Siria è risultato del più grande errore compiuto dall’amministrazione Usa di Obama. Dopo avere detto che Assad doveva essere cacciato, se ne sono andati lasciando campo libero agli altri attori della zona. La politica estera è come la fisica: se c’è uno spazio vuoto qualcuno lo occupa». 

Si è precipitato Putin.
 «Che non ne ha sbagliata una. È arrivato pure l’Iran. L’unico modo per affrontare quella crisi è creare un “gruppo di contatto” sul modello di quanto fatto per i Balcani: Usa, Russia, Turchia, Iran e Arabia Saudita devono sedersi attorno ad un tavolo». 

Non ha citato l’Europa. È “missing”, vero? «Purtroppo sì. Non è pervenuta». 

Gli altri Paesi arabi stanno contribuendo alla pacificazione dell’area? Lei è presidente dell’associazione Italia-Emirati Arabi.
 «Gli Emirati sono fortemente alleati con l’Arabia e, insieme, hanno un grosso problema col Qatar. Ho incontrato il ministro degli Esteri degli Emirati e l’ambasciatore del Qatar. Parlo con tutti e provo a dare una mano per la pacificazione. Quella del Golfo è una realtà ricca economicamente, ma anche molto forte militarmente: è bene evitare che arrivino a puntarsi le armi l’uno contro l’altro». 

L’Italia è fortemente impegnata nelle missioni all'estero: Afghanistan, Libano e molti altri Paesi. Queste missioni sono costose, oltre che rischiose. È ipotizzabile un disimpegno, almeno parziale?
 «Sono diverse tra loro, quella in Afghanistan è una missione più Nato, quella in Libano più Onu. Tutte sono uno strumento prezioso di politica estera. In Libano, per esempio, tutti sanno che ci dovesse essere una nuova crisi tra Hezbollah e Israele solo l’Italia avrà le carte in regola per mediare...». 

Lei è stato commissario europeo e capo della diplomazia. Federica Mogherini è tornata a Teheran e si è messa il velo. Lei è un uomo, certo, ma le risulta che esista un “obbligo protocollare assoluto” ad indossarlo, come dice l’Ue? 
«C’è un obbligo reale, che è quello di mettere un velo sulla testa. Ma c’è velo e velo, come c’è abito e abito. Emma Bonino, a Teheran, si presentò con un velo sgargiante. Se uno si presenta con un velo grigio su tunica grigia scura lunga fino ai piedi interpreta il protocollo a suo modo, dando l’idea della sottomissione... Oltretutto era la festa per la rielezione di Rohani. Forse le avevano suggerito di ingraziarsi gli interlocutori, ma anche questo in politica estera può essere un errore». 

Berlusconi parla sempre bene del suo lavoro, la rivorrebbe agli Esteri. Tornerebbe in squadra?
 «Con il presidente abbiamo un rapporto di stima, leale, quello tra due persone che hanno collaborato 11 anni. L’ho chiamato per ringraziarlo delle sue parole, che non erano dovute. Oggi, però, faccio con impegno un altro mestiere».

 Il centrodestra è davvero tornato competitivo? 
«Da “semplice” osservatore vedo che se ci sarà uno sforzo unitario il centrodestra si potrà giocare le sue carte. L’avversario più temibile, il M5s, va affrontato sul profilo della competenza e della qualità delle persone, non pensando di gridare più forte di loro. Noto che la linea di moderazione e di equilibrio dei mesi scorsi ha portato risultati insperati come le vittorie in Liguria, a Genova, dove non era semplice». 
Molti politici sostengono che la politica sia una “malattia incurabile”, eppure lei sembra guarito. Com’è la qualità della sua vita oggi? 
«Io ho sempre fatto una cosa sola: ho servito il Paese da ministro degli Esteri, poi l’Europa da Commissario, oggi continuo a farlo da magistrato, dopo che sono tornato a fare, senza alcuno strappo, il mestiere che mi ero scelto. Sono un magistrato da quando avevo 23 anni. Presiedo una importante sezione del Consiglio di Stato che si occupa tra altro delle interdettive anti-mafia e appalti nella sanità e sto benissimo. Ci sono modi diversi di servire le istituzioni, momenti per fare una cosa e momenti per farne altre. L’importante è stare bene con sè stessi».
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Pubblicato da Franco Frattini il giorno 14.8.17. per la sezione , , , , , , , , , . Puoi essere aggiornato sui post, i commenti degli utenti e le risposte utilizzando il servizio di RSS 2.0. Scrivi un commento e partecipa anche tu alla discussione su questo tema.

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