Non possiamo restare a guardare. L`Italia mandi i suoi aerei in Iraq sotto egida ONU
LIBERO intervista l`ex ministro degli Esteri
Secondo Frattini serve una missione sotto l`egida dell`Onu per fermare l`avanzata dell`Isis: è vergognoso aspettare che ci pensino sempre gli Usa
«In Iraq siamo di fronte a un genocidio che non può essere stroncato con i soli bombardamenti, mirati, americani. Occorre liberare i corridoi di fuga per i profughi e bloccare i punti di ingresso per i terroristi dell`Isis. Ma il fronte occidentale non si deve limitare a Washington: anche l`Italia sia della partita».
Per Franco Frattini, ex ministro degli Esteri nei governi Berlusconi, di fronte all`avanzata dell`estremismo jihadista in Iraq si è già perso troppo tempo: «Tutti sono bravi a riempirsi la bocca con l`invio degli aiuti umanitari, ma se gli aiuti cadono in un territorio occupato dai terroristi, finiscono nelle loro mani».
Da qui l`invito dell`ex capo della Farnesina a dar vita nel più breve tempo possibile ad una «coalizione» che da un lato blocchi l`avanzata dell`Isis e dall`altro aiuti i peshmerga curdi, «con la fornitura di armi, a riconquistare il loro territorio. Dobbiamo spegnere l`incendio».
L`attuale ministro degli Esteri, Federica Mogherini, ha escluso l`intervento militare italiano, ma ha aperto la porta al sostegno dei curdi.
«Condivido l`apertura sull`aiuto ai curdi. Tuttavia, se ci fosse una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell`Onu che autorizzasse, con la condivisione dell`Unione europea, l`impiego di tutti i mezzi necessari per un intervento di natura umanitaria per liberare le vie di fuga per i profughi e bloccare l`avanzata dei terroristi, per l`Italia sarebbe difficile sottrarsi. Anzi, fermo restando il via libera del Consiglio supremo di difesa, io auspicherei che il nostro Paese fosse della partita con i propri aerei. Sarebbe vergognoso, ancora una volta, limitarsi a chiamare Washington quando c`è da premere il bottone».
In Iraq, il premier Al Maliki è nella bufera.
«Infatti la precondizione per la formazione di una coalizione internazionale in grado di portare avanti una strategia condivisa è la formazione di un governo iracheno degno di essere aiutato. Un esecutivo forte, di grande coalizione nazionale. Solo in questo modo i Paesi che finora, nella migliore delle ipotesi, sono rimasti a guardare, l`Iran, la Turchia e gli Stati sunniti del Golfo, potrebbero impegnarsi. Serve un`intesa politica per un Iraq forte, che non soffochi, ad esempio, la minoranza sunnita né quella curda».
Una coalizione internazionale. Per fare cosa?
«Per fermare l`incendio, ma senza tornare con i piedi sul territorio iracheno».
I bombardamenti, da soli, potrebbero non bastare.
«I peshmerga curdi vanno aiutati. Sono combattenti straordinari, ma da soli non ce la possono fare a riconquistare il territorio perduto e a impedire che l`Isis conquisti altro spazio: i terroristi non si fermeranno, dopo Mosul attaccheranno anche Erbil. Ormai sono a 50 chilometri».
A che aiuti pensa?
«A un intervento grazie al quale una coalizione regionale fornisca armi ai peshmerga. Se aiutate e rifornite, le milizie curde sono in grado di riprendersi Mosul e il Kurdistan, precondizione per fermare il genocidio di yazidi e cristiani e per riprendere il controllo del nord-ovest dell`Iraq. Occorre bilanciare il finanziamento, diretto e indiretto, dell`Isis con armi e denaro da parte delle potenze sunnite».
In questo quadro l`Occidente che ruolo avrebbe?
«Quando il presidente francese Hollande afferma di essere pronto a schierarsi con gli Usa, non penso che si riferisca solo a qualche elicottero che scarichi aiuti umanitari. Lo stesso vale per il premier Cameron quando dice che bisogna fermare l`Isis. Il terrorismo jihadista si ferma bombardando. Migliaia di disperati bloccati sulle montagne sono stati liberati perché i bombardamenti americani hanno aperto una via di fuga. Ma questa capacità non ce l`hanno solo gli americani, ce l`hanno anche i francesi, gli inglesi e gli italiani».
Da ex ministro degli Esteri, auspica un coni volgimento italiano?
«Premesso che, nella cornice di una copertura europea e internazionale spetterebbe al governo decidere come comportarsi, credo che sarebbe difficile sottrarsi ad una missione militare per aprire le vie di fughe a sostegno dei profughi».
Come giudica, finora, il comportamento di Onu e Ue?
«L`unica voce che avrebbe do voto parlare, quella delle Nazioni Unite, tace. L`Onu non è un`autorità spirituale, è in grado di autorizzare l`uso della forza per proteggere le vite umane attraverso una risoluzione che dia il via libera alla liberazione delle vie di fuga e all`attacco di chi si sta macchiando di atrocità. Una pronuncia di questo tipo legittimerebbe sia la fornitura di armi ai peshmerga, sia le operazioni aeree degli Usa e dei suoi potenziali alleati.
E l`Ue, premio Nobel per inglese - la pace 2012?
«Manca totalmente di una posizione unitaria. Se l`Ue fosse un attore politico, offrirebbe agli Stati membri un ombrello sotto il quale ciascuno valuterebbe, secondo le proprie possibilità, come intervenire in Iraq».




