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Il ruolo dell’Italia nelle Organizzazioni Internazionali


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 Lecture del Presidente Franco Frattini
in occasione dell'incontro di circa 200 Ufficiali superiori selezionati fra le diverse Forze Armate, tra i quali anche Ufficiali stranieri provenienti dai paesi dell’Alleanza atlantica

La vocazione europea ed euro-atlantica dell'Italia rappresenta una priorità indiscutibile e imprescindibile della politica estera e interna del nostro Paese, che deve tenere alta la bandiera per una maggiore integrazione politica dell'Europa. Oggi non è possibile parlare di prospettiva politica dell'Italia se non la si inserisce in un quadro europeo e atlantico. 

E' un'Europa di cui molto si parla, talora da parte degli addetti ai lavori, talora da parte di chi valuta negativamente e con superficialità gli straordinari risultati del processo d’integrazione europea. 

L'Italia è Paese fondatore dell'Ue: il trattato di adesione che istituisce la Comunità economica europea fu firmato a Roma nel 1957, nello stesso anno e nella stessa città in cui sono NATO. Per cui, posso dire con entusiasmo che lo spirito europeo mi accompagna sin dall'anno della mia nascita. 

Quasi sessant’anni fa sei Paesi fondatori ebbero una visione talmente lungimirante del progetto europeo al punto che quella visione si è poi consolidata e rafforzata nei decenni, acquisendo risultati importanti e che alcuni, purtroppo, danno per scontati. 

Diamo, ad esempio, per scontata la pace. Ma abbiamo mai pensato che siamo l'unico Continente al mondo in cui negli ultimi 60 anni non vi siano stati i fermenti della guerra? Siamo, poi, l'unico Continente che ha garantito la libertà di circolazione. Come ignorare questa conquista! Lo spazio Schengen è un qualcosa che chi ha la mia età ricorda come un risultato straordinario. 

E’ un percorso, questo, che allora non può fermarsi, ma deve, al contrario, continuare a rafforzarsi. E’ questo il ruolo dell'Italia nell'Europa, per il presente e per il futuro. 

So bene, ad esempio, che le opinioni divergono se si parla di Unione politica. Così come so bene che vi sono Paesi che sono essenziali per il futuro dell'Europa - penso agli amici britannici. 

Occorre, quindi, innanzitutto lavorare ad una maggiore integrazione della governance in politica economica, affinché l'unione bancaria non sia soltanto una sommatoria e una rete ma diventi governance vera e propria dei sistemi di monitoraggio sulle banche nazionali che aiuti la creazione di un reale spazio economico comune di governo politico. Non bastano i dati statistici sul Pil, ma occorre una governance politica del sistema delle relazioni economiche tra paesi membri dell'Ue in modo che la Banca centrale europea non sia solo un mero coordinatore, ma abbia un ruolo di effettivo controllo dei sistemi bancari.

Aggiungo un punto importante sull’integrazione. Dopo la grande riunificazione con l’ingresso della Polonia e della Croazia, l'Italia può essere tra i Paesi che stimolano ed incoraggiano l'allargamento dell'Unione Europea verso i Paesi dei Balcani occidentali che rappresentano una storia di successo per l'Europa, se pensiamo che, ad esempio, si è passati dai bombardamenti su Belgrado a Paesi orgogliosi di voler diventare membri dell’Europa e della NATO.

Non sono state soltanto le azioni di protezione internazionale che la NATO guidò sui Balcani e che le forze di stabilizzazione della NATO ancora oggi assicurano in Kosovo a sconfiggere i nazionalismi, gli estremismi: è stata la calamita politica dell'Europa. L'abolizione dei visti d'ingresso individuali per i cittadini serbi lanciano dei messaggi che fanno dell'Europa un storia di successo in determinate aeree del mondo. In questo scacchiere l'Italia ha ancora molto promuovere e da incoraggiare, superando le riluttanze degli altri Paesi. 

Ancora, l'Italia ha una posizione unica rispetto ad altri paesi dell'Ue. Oltre a guardare con favore all'euroregione adriatico-ionica, e ad essere attore privilegiato con i Paesi del Golfo, il nostro Paese ha saputo parlare anche all’Africa - come un continente di opportunità e non di pericolosità - e al Nord del Mediterraneo. 

La sfida del mondo di oggi è il Mediterraneo e l'Italia gioca un ruolo da protagonista indiscussa nella strategia euro-mediterranea. L'interesse nazionale dell'Italia coincide con l'interesse strategico dell'Europa per far sì che il Mediterraneo diventi un bacino di promozione della prosperità, della sicurezza e della stabilità, non un fattore di crisi e di destabilizzazione. Roma è sempre presente: ad ogni livello della strategia dell'Europa per il Mediterraneo. 

Troviamo, ad esempio, l'Italia nei partenariati bilaterali e multilaterali, così come negli accordi per la promozione degli investimenti e delle Pmi; come amico degli israeliani e dei palestinesi; come interlocutore privilegiato di tutti paesi arabi della sponda sud; come attore privilegiato nei rapporti con i paesi del Golfo, ormai la terza riva del Mediterraneo, in quanto non si può programmare una visione per il futuro del Mediterraneo senza tenere conto del ruolo delle monarchie del Golfo; come partner economico e amico politico speciale della Turchia.

Pochi altri paesi europei possano vantare questi asset strategici.

E' chiaro che l'Unione europea non può non vedere l'Italia come co-protagonista della strategia per la stabilizzazione di una grande area che a sud del Mediterraneo va dallo Yemen, al Corno d'Africa, al Sahel, all'Africa occidentale e delle strategie che la NATO ha avviato e avvierà nell'area. Il ruolo dell'Italia di interlocutore rispettato e in molti casi amati dai popoli nelle relazioni internazionale è assai spesso garanzia di successo.

L'Italia ha, poi, una missione da compiere come attore economico, politico e strategico dell'Europa: lavorare affinché il capitolo della strategia europea comune di sicurezza e di difesa non venga abbandonato, ma anzi rafforzato. 

Le conclusioni dell'ultimo Consiglio europeo per la prima volta hanno visto un capitolo specifico dedicato alla difesa europea: sono almeno un segno politico importante. Non ci facevamo illusioni sul fatto che dal quel Consiglio sarebbe uscita una grande decisione politica sull'integrazione europea della difesa, ma è comunque un segnale politico d’incoraggiamento. Ricordo, inoltre, che il documento strategico sulla politica estera di sicurezza e di difesa risale al 2003: lo scrissi io insieme a Javier Solana durante il semestre di presidenza dell’Italia. Chiaro che dieci anni dopo il mondo è cambiato e un aggiornamento di quelle priorità strategiche rappresenta il prossimo obiettivo di un percorso che sarà lungo e difficile ma necessario.




So bene che su questo tema vi sono Paesi che rifiutano in principio l'idea che vi possa essere una difesa europea completamente integrata. Tuttavia, sui temi di sicurezza non ci possono essere divisioni. Ci sono interessi strategici comuni: pensate all'azione marittima di pattugliamento del Mediterraneo. Quale intesse maggiore per l'Europa, nel momento in cui negoziamo con gli Stati Uniti lo spazio di commercio euro atlantico, se non quello di sviluppare un'industria della difesa e della sicurezza più integrate?

La dimensione europea è strettamente legata a quella atlantica attraverso la NATO. Nel mondo multipolare di oggi la NATO e la prospettiva atlantica di sicurezza sono più necessari che mai, e i leader europei non devono rifugiarsi nella facile scorciatoia dei tagli orizzontali. 

L'interesse comune è quello di lavorare insieme per essere insieme, europei e alleati nordamericani, attori e promotori di sicurezza. Dobbiamo capire che l'Europa non può essere rappresentata soltanto come l'appendice “soft power” del grande produttore di sicurezza mondiale, gli Stati Uniti d'America. Dobbiamo essere anche noi produttori di sicurezza con le capacità militari, gli investimenti, la capacità di scommettere sulle nuove tecnologie: è impensabile che un sistema di Alleanza Atlantica continui funzionare con i nostri amici americani che impegnano per il 65 per cento di risorse e capacità e gli alleati europei il rimanente terzo. 

I leader europei devono evitare di prendere la facile scorciatoia del taglio orizzontale ai bilanci della difesa, perché si tratterebbe di una "non-decisione". 

Auspico, al contrario che si decida con scelte politiche precise dove si può ridurre e dove invece si deve investire di più: ad esempio sulla cyber security e la smart defence. Vi sono capacità nuove che devono essere potenziate: non è immaginabile che l'Alleanza atlantica non abbia ancora un sistema integrato comune per la cyber security, dove gli standard continuano ad essere nazionali e non comuni, dove l’interoperabilità delle tecnologie non è ancora assicurata.

Non è più tempo che la NATO ascolti dai governi nazionali decisioni di taglio già prese. La NATO e l'Agenzia europea per la difesa devono diventare luoghi di consultazione e coordinamento, dove riduzioni da un alto e aumenti d’investimento dall'altro sono coordinate e decise in un'ottica che è quella della smart defence, una difesa intelligente, non una difesa più debole.

In un contesto di restrizioni economiche e finanziare come quello attuale la divisione del lavoro e dei compiti diviene ancora più importante. Quando il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha chiesto al premier italiano, Enrico Letta, che sia l'Italia a guidare la ricostruzione della Libia nell'ambito della prossima missione di institution building della NATO, è chiaro che ci è stata richiesta una divisione delle forze.

Questo multilateralismo che abbiamo applaudito chiama gli europei a fare di più e non di meno. Questa è una responsabilità a cui non possiamo sottrarci, pena la perdita di credibilità come alleati europei. Questa è una realtà che diviene ancora più urgente alla luce del post 2014, cioè quando le truppe combattenti se ne saranno andate dall'Afghanistan. E' evidente che noi italiani continueremo ad avere un peso per non lasciare il popolo afgano nelle mani del medioevo dei talebani. 

La NATO non va intesa come poliziotto globale, quanto piuttosto come attore pronto a giocare un ruolo forte ove occorre. 

I valori della NATO non scompariranno con il ritiro delle truppe dall'Afghanistan post-2014, ma diventeranno una bandiera con cui aiutare altri popoli a consolidare la sicurezza. Quando le condizioni di sicurezza lo consentiranno, l'Italia intende contribuire alla missione di institution building in Libia, creando forze armate, una guardia nazionale e un sistema di sicurezza: questo è altamente necessario per stabilizzare l'intera area. 

La missione NATO contro la pirateria in Somalia è fondamentale. Se ce ne andassimo, la destabilizzazione aumenterebbe all'ennesima potenza, perché il flusso finanziario di decine di milioni che arriva agli estremisti viene dal grande profitto delle azioni di pirateria internazionale.

Paesi come il Mali e regioni come quella del Sahel, la cui destabilizzazione viene alimentata da est dal terrorismo e da ovest dal traffico della droga dell'America Latina, vanno aiutati a essere attori della loro sicurezza. L'Italia deve e può fare molto investendo sui partenariati della NATO: se abbiamo dei partner forti con paesi in grado di condividere con noi valutazioni della minaccia e informazioni strategiche, noi membri della NATO saremo più forti.

Infine, è fondamentale una collaborazione di questo tipo anche con la Federazione russa, nonostante le divergenze sul piano per il dispiegamento in Europa dello scudo antimissili. 

Infine vorrei ricordare lo storico ruolo dell’Italia nell’ONU. Un impegno che inizia anche con la SIOI, la società per l’Organizzazione Internazionale che ho l’onore di Presiedere e che quest’anno compie settant’anni. Parliamo di uno degli Enti più importanti per la formazione ed il rafforzamento delle relazioni internazionali e la cui lunga tradizione diplomatica e di alto prestigio internazionale si rifà soprattutto alla decisione dell’allora Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi di incaricare questo Ente quale negoziatore ufficiale delle trattive di adesione dell’Italia alle Nazioni Unite.

Le Nazioni Unite sono tra le Organizzazioni Internazionali il cui ruolo deve obbligatoriamente essere rafforzato. In un mondo diventato multipolare, in un mondo in cui il vecchissimo G8 ancora esiste; in un mondo in cui ci siamo illusi che il G20 potesse essere il modello perfetto di governance globale, non c'è che da pensare ad un rafforzamento dell'ONU quale organismo in cui tutti i Paesi e le aree geografiche del mondo devono essere rappresentati. 

L’Italia ha un ruolo storico e di grandi successi all’interno dell’ONU. Quando ero in Farnesina tre anni fa, ad esempio, 78 Paesi si riunirono attorno ad un tavolo per parlare di riforma dell'ONU. Da allora l'Italia promuove un multilateralismo più efficace affinché blocchi ed incomprensioni si riducano, e dove la rappresentatività sia più ampia e articolata. 

E' impensabile che questo sistema di governance così com’è continui ad essere credibile. L’Italia, per esempio, ha proposto che l’Europa così come le grandi aree regionali del mondo abbiano un seggio all’ONU, da aggiungere ai seggi storici dell’Organizzazione. Una visione in cui le grandi regioni geografiche siano rappresentate in sede ONU in un quadro di oggettiva rappresentatività territoriale. Il mondo arabo ad esempio non ha un rappresentante. Così come l'Africa. 

L’Italia e l’Europa, ancora, promuovono in sede ONU una governance con un meccanismo che sia effettivamente garante della natura della persona umana e dei suoi diritti. Parliamo di battaglie vittoriose che vanno – solo per citare alcuni esempi - dalla risoluzione ONU sulla moratoria universale per la pena di morte, alla risoluzione sulle mutilazioni genitali femminili, o ancora la lotta per combattere il fenomeno dei bambini soldato. Sono grandi cose, concrete, che l’Italia ha fatto in sede ONU e sono soprattutto risultati tangibili che danno credibilità agli organismi internazionali.

Infine, vorrei ricordare un impegno unico dell’Italia in Europa e alle Nazioni Unite: ci siamo fatti promotori di quel grande diritto di ciascuno di noi che è la libertà di creder e nel proprio Dio. Non mi riferisco solo alla difesa dei cristiani che restano la religione più perseguitata al mondo. Ma cosa dire anche delle tragedie tra sciiti e sunniti? O ancora sui tanti incendi di moschee? Sono tutti atti orribili e per i quali l’Italia si è impegnata in questi anni in grandi battaglie oggi divenute terreno di condivisione all’interno dei principali consessi decisionali europei ed internazionali. 

Europa, NATO e ONU: tre grandi pilastri dell'azione dell’Italia sullo scenario internazionale.





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Pubblicato da Lucrezia Pagano il giorno 27.1.14. per la sezione , , , , , , , , . Puoi essere aggiornato sui post, i commenti degli utenti e le risposte utilizzando il servizio di RSS 2.0. Scrivi un commento e partecipa anche tu alla discussione su questo tema.

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