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Dall`Europa agli Usa la diplomazia diventa femmina


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Un convegno a Bruxelles sulla leadership internazionale delle donne
Ashton, Clinton e le altre: percorsi e stili oscillano tra capacità di mediazione e spirito "guerriero". In un abile mix di scelte vincenti

SETTE – CORRIERE DELLA SERA


di Marla Serena Natale

Quando nel 2009 l`allora ministro degli Esteri Franco Frattini annunciò un viaggio a Teheran per coinvolgere il regime iraniano nella strategia di stabilizzazione dell`area Afghanistan-Pakistan, toccò al segretario di Stato americano Hillary Clinton affondare senza clamore l`ambizioso progetto: pubblico apprezzamento e private manovre di dissuasione. Alla fine il capo della Farnesina lasciò cadere l`idea, soddisfatto e convinto. L`arte sottile della diplomazia è femmina. 

L`episodio, raccontato da Frattini durante una conferenza organizzata dall`Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles nell`ambito di un articolato programma sulla leadership femminile nelle relazioni internazionali, promosso dalla direttrice Federiga Bindi, descrive bene quel potente intreccio di capacità di ascolto, inclusività, tatto ed efficacia che caratterizza lo stile di comando delle donne - e che può portare un contributo determinante alla risoluzione delle controversie politiche. 

Esiste davvero, e come si connota, la via femminile alla leadership? Di sicuro esistono stereotipi tenaci sulle donne, che dopo un percorso di emancipazione durato secoli hanno finalmente posato sulle spalle il fardello del comando: da un lato l`istintiva equazione donna-pace e il tacito riconoscimento di una certa difficoltà a gestire situazioni di conflitto, anche armato; dall`altro la figura della guerriera sospesa tra storia e mito, dalla condottiera antiromana Budicca alle amazzoni, a Giovanna d`Arco, che introduce il gentil sesso al campo di battaglia, ma a prezzo di un`incontestabile eccezionalità di matrice dinastica o soprannaturale. La normale amministrazione del potere resta una conquista quotidiana, che impone di cercare uno stile credibile. 

Hillary Clinton ha fatto scuola. Nei quattro anni a capo della diplomazia americana ha reimpostato su nuove basi il lavoro del Dipartimento di Stato e lasciato un`impronta destinata a durare. Ha usato il capitale di competenza e autorevolezza consolidato nel suo lungo percorso tra avvocatura e politica - coronato dal ruolo di first lady, sempre troppo spetto - per riportare al centro del tavolo negoziale i temi dello sviluppo umano e della sicurezza civile, spostando il focus su democrazia e diritti. Una vera "rivoluzione copernicana" per un posto "da duri", dove le squadre di diplomatici e addetti allo sviluppo sono tradizionalmente separate e diffidenti tra loro. 

E dove chi si occupa di cose serie sa tutto di allarme nucleare, miti-terrorismo e armamenti, ma di rado s`imbatte in dossier sulla poliomielite in Nigeria. Hillary ha puntato i riflettori internazionali su salute e sicurezza alimentare, ha innalzato il livello di guardia su problemi che vanno dall`emergenza idrica alla tratta di esseri umani, ha fatto dello Sviluppo una priorità al pari di Diplomazia e Difesa. Accanto alla sicurezza dello Stato, la sicurezza della persona. «Non saranno sexy come una photo opportunity in Medio Oriente, ma tra vent`anni proprio questi cambiamenti riassumeranno il senso della svolta di Hillary», ci dice a Bruxelles Anne-Marie Slaughter, l`esperta di relazioni internazionali che dal 2009 al 2011 è stata la prima donna a dirigere la Pianificazione strategica del Dipartimento di Stato targato Clinton e che nel 2012 ha toccato un nervo scoperto del femminismo contemporaneo con il saggio best seller Why Women Stili Can`t Have It All, Perché le donne non possono ancora avere tutto. 

Un cambio di passo concettuale che si è tradotto in una nuova organizzazione del lavoro, con uffici e figure dedicate, con ottimizzazione delle risorse realizzata importando dal Dipartimento della Difesa l`esame dei conti che ogni quattro anni verifica risultati conseguiti, obiettivi e stime di spesa. Affiancato nella quotidianità da un`attenzione particolare alla sfera affettiva dei collaboratori: «Gli uomini che chiedevano un permesso per esigenze familiari salivano nella sua considerazione», racconta Slaughter. Uno stile radicalmente diverso dalle donne-segretario di Stato che l`hanno preceduta. La pioniera, Madeleine Albright in carica con il presidente Bill Clinton dal 1997 al 2001, non poteva ancora marcare la differenza rispetto ai predecessori maschi: primo obiettivo, conquistare spazio di manovra in un mondo di uomini, con linguaggi e metodi propri di quel mondo. Condoleezza Rice, segretario di Stato con George W. Bush dal 2005 al 2oo9, arrivava al Dipartimento con un profilo nettamente tagliato sulla sicurezza nazionale, ambito nel quale era già stata consigliere di Bush con una specializzazione su Russia e dissoluzione del blocco sovietico.

Agli americani nati a partire dagli anni Novanta il segretario di Stato deve apparire un lavoro tipicamente femminile. Hillary, che con quest`esperienza ha accumulato crediti pesanti in vista della possibile candidatura alle prossime presidenziali, è il terzo anello in un processo che sta modificando i pilastri della diplomazia ma anche l`atteggiamento delle donne che puntano a moli di leadership internazionale, sempre più libere di imprimere il proprio segno e, in alcuni casi, invertire la rotta. Un approccio che, al di là delle teorie sulla specificità di genere, dall`America all`Europa poggia su pragmatismo e concretezza. «Noi donne vediamo a colori, non ci limitiamo a prendere atto di come vanno le cose, sappiamo come dovrebbero andare e siamo pronte a investire sulla nostra visione del mondo», dice Valerie Biden Owens, sorella del vice presidente americano Joe Biden e responsabile di tutte le sue campagne elettorali. 

Fedeltà alla visione che spesso fa rima con rigidità. Vedi, sul versante europeo, l`ex premier britannica Margaret Thatcher o l`attuale cancelliera tedesca Angela Merkel: in comune, oltre all`audacia cromatica dei tailleur, quella fermezza tratto distintivo di una leadership che non ammette sconti e un`immagine pubblica a tinte forti che in fondo rievoca l`insidioso stereotipo della guerriera implacabile. La donna leader cammina sul filo: può mostrarsi intransigente, mai perdere il controllo. C`è sempre disapprovazione per una signora che batte i pugni sul tavolo. Un riflesso nel quale, spiega Eirikur Bergman, politologo e direttore del Centro Studi europei dell`Università Bifrost in Islanda, si condensa il residuo paternalismo verso la donna che ambisce al comando: «L`ira è degli dei, non degli uomini. Degli adulti, non dei bambini». Una che non perde il controllo è Cathy Ashton, Alto rappresentante per la politica estera dell`Unione Europea. Toni misurati al limite dell`afonia, i critici le hanno imputato scarso carisma dal primo giorno di lavoro, nel 2oo9. Nei quattro anni a Bruxelles la baronessa inglese ha lavorato con discrezione e senza sosta. C`è lei dietro quello che già si configura come uno dei maggiori successi della diplomazia Ue, l`impossibile accordo tra Serbia e Kosovo raggiunto in aprile. L`hanno soprannominata «la seconda Lady di ferro




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Pubblicato da Lucrezia Pagano il giorno 26.7.13. per la sezione , , , , . Puoi essere aggiornato sui post, i commenti degli utenti e le risposte utilizzando il servizio di RSS 2.0. Scrivi un commento e partecipa anche tu alla discussione su questo tema.

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