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Intervento in Commissioni Riunite sul Mali


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L'On. Franco Frattini interviene in Commissioni riunite dopo l'audizione dei ministri Di Paola e Terzi sul Mali



FRANCO FRATTINI. Ringrazio i ministri per il loro intervento. Mi sembra che il punto da loro toccato sia il punto di partenza da cui muoverò anch'io: difendere la sicurezza dell'Italia e dell'Europa anche fuori del territorio europeo corrisponde anzitutto a un interesse nazionale e poi a un dovere e a una responsabilità di appartenenza all'Unione europea.

Ciò è da porre in relazione ai caratteri della minaccia transnazionale tipica, di cui il Ministro Di Paola e il Ministro Terzi hanno parlato, che si sta caratterizzando, in questo caso nel Mali, come un vero e proprio arco del terrore - potrei definirlo in questo modo - che si sta diffondendo progressivamente dallo Yemen fino alle coste occidentali dell'Africa. 

I colleghi ricorderanno bene quando esplose il caso Yemen. Molti affermarono allora che si stessero creando le premesse per la penetrazione di una rete terroristica direttamente collegata ad Al Qaeda dallo Yemen al Corno d'Africa e alla Somalia. Il mondo è stato più o meno a guardare e la penetrazione è proseguita. Il mondo è intervenuto con timidezza per aiutare la Somalia, ma molto meno di quanto avremmo dovuto fare. 

Ricordo bene il vertice che alle Nazioni Unite il Governo italiano promosse sulla situazione somala. Allora io avevo l'onore di essere Ministro degli affari esteri. Tutta la Comunità internazionale parlò a lungo, ma poco si fece e ora la penetrazione è proseguita nel Sahel. 

È evidente che il costo del non essere intervenuti allora per fermare nel Corno d'Africa la penetrazione terroristica è un costo che oggi si riproduce, aumentato, con la penetrazione verso il Sahel e, quindi, verso il Mali. 

Oggi, colleghi, noi abbiamo dinanzi la valutazione del costo della prevenzione, che è un costo importante - i ministri ne hanno parlato - un costo politico, tecnico ed economico. Dall'altra parte, però, c'è il costo di non intervenire, cioè quello di lasciar proseguire la penetrazione delle milizie terroristiche in un'area tanto grande. 

Io penso che l'obiettivo, ormai chiaro e dichiarato anche nelle rivendicazioni dei terroristi, sia la destabilizzazione di un'intera area, l'area sahariana dell'Africa. È certamente evidente che si arriverà prestissimo alla destabilizzazione di Paesi africani in cui i Paesi europei, come la Francia e l'Italia - sottolineo l'Italia - hanno interessi forti da difendere. 

Abbiamo, infatti, presenze di connazionali, nonché aziende e investimenti italiani. Come la Francia li ha in Mali e in Algeria, noi li abbiamo in Libia e ancora in Algeria. È evidente che il prossimo obiettivo dei terroristi è proprio la destabilizzazione della Libia. 

Lo rilevo non solo per la piccola esperienza che ho formato negli anni, ma anche per le dichiarazioni del Primo ministro libico, il quale ha espresso la sua estrema preoccupazione ed estrema cautela, essendo consapevole che circa una metà del territorio libico può essere considerata gravemente vulnerabile rispetto alle infiltrazioni continue di milizie di questo genere.

Ci sono poi il Ciad, di cui si è parlato, e ovviamente l'area circostante, il Niger. Possiamo immaginare l'effetto di una penetrazione delle milizie terroristiche tale da assumere il dominio del Niger con le miniere di uranio. Possiamo immaginare che cosa potrebbe accadere se centrali terroristiche si impadronissero di risorse di questo tipo, non solo di Paesi, come oggi il Mali, ma anche di risorse che potrebbero certamente servire all'obiettivo, ancora una volta dichiarato dai terroristi, del califfato del Sahara. 

Immaginiamo il califfato del Sahara a una distanza inferiore tra quella che c'è tra Roma e Milano rispetto alle nostre coste. Possiamo immaginare di assumere questo come un dato ormai scontato e ineluttabile? 

Questo è il contesto in cui credo si debba valutare la suggestione di una presa di posizione che i ministri hanno avanzato, anche in un periodo difficile, come quello di una campagna elettorale. Penso, infatti, che l'interesse nazionale dell'Italia debba prevalere su qualsiasi tipo di preoccupazione elettorale o elettoralistica. 

Abbiamo una missione nazionale - quella francese - che non si deve e non si può confondere con la missione europea di formazione, già decisa e a cui l'Italia giustamente partecipa. Oggi, però, parliamo di altre iniziative. 

Come è stato ricordato, tre risoluzioni unanimi del Consiglio di sicurezza hanno dato legittimazione internazionale al principio che il Mali non può essere abbandonato nelle mani di un'invasione di milizie terroristiche. Questo principio, affermato tra novembre e dicembre dal Consiglio di sicurezza, ha portato a un mandato ONU a una missione africana. Credo, quindi, che la ownership africana del processo di difesa del territorio di un Paese africano sia il primo principio a cui dobbiamo riportarci. 

Tuttavia, prima che la missione africana si dispiegasse ed ECOWAS fosse in condizioni di dispiegare sul terreno migliaia di uomini, come richiesto - cosa che accadrà non domani e neanche dopodomani: l'esperienza di cose africane (qui ci sono colleghi che se ne intendono molto) mi porta a dire che occorreranno molte settimane prima che la missione africana sia effettiva ed efficace sul terreno - la Francia è intervenuta con forze combattenti sul terreno. Noi, però, non possiamo e non dobbiamo parlare di forze combattenti, bensì dell'addestramento già deciso, considerando anche ciò che è funzionale alla riuscita di una missione, quindi il supporto logistico. 

Io sono favorevole, signori ministri, all'idea che l'Italia intervenga con un supporto logistico, nei termini che voi avete indicato, perché ciò risponde a un interesse geostrategico del nostro Paese. Non credo che dobbiamo correre il rischio che il prossimo Parlamento si ritrovi a discutere di un attacco che ha a oggetto un impianto di estrazione gestito non da altri Paesi, ma dall'Italia. Spero che questo non accada mai, ma credo che dobbiamo creare le condizioni affinché non accada. 

Sicuramente, il fare gesti roboanti di distacco da questa missione non ci porrebbe maggiormente al riparo rispetto ai terroristi e a quello che potrebbe accadere se aiutassimo, come è nostro dovere, una missione di supporto logistico. 

Cari colleghi, in quest'aula abbiamo parlato mille volte di difesa europea. Non possiamo invocare ogni giorno la difesa europea e poi voltare le spalle dall'altra parte quando ci chiedono un piccolo sostegno logistico a una missione europea. Allora, quando parleremo di difesa europea integrata, quale sarà la nostra posizione? Rinnegheremo tutto quello che abbiamo detto, cioè di volere un'Europa capace di produrre sicurezza con le proprie capability? Ecco, non credo che dovremmo rinnegare tutto questo. Per questa ragione, ritengo che, esclusa la forza di combattimento, il supporto logistico sia doveroso. 
Sono disponibile, signori ministri, a valutare, a esaminare e anche a firmare un ordine del giorno che possa contribuire oggi, in Aula, al dibattito su questo tema. 






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Pubblicato da Lucrezia Pagano il giorno 22.1.13. per la sezione , , , . Puoi essere aggiornato sui post, i commenti degli utenti e le risposte utilizzando il servizio di RSS 2.0. Scrivi un commento e partecipa anche tu alla discussione su questo tema.

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