Tanti centri (piccoli e confusi)
In una lettera-appello al
Corriere della Sera un gruppo di intellettuali che formano l'ossatura di
«Fermare il declino» e di «Italia futura» chiede alla composita aggregazione
centrista che si sta formando di essere più coraggiosa e di sposare con più
convinzione la causa della «rivoluzione liberale». Ma forse l'aggregazione
ancora in fieri è troppo composita e variegata per sposare con convinzione la
ricetta che vorrebbe trasformare l'Italia in un Paese meno statalista e più
aperto alle benefiche virtù del libero mercato. Troppo multiforme per aspirare
a una voce univoca. Oggi il «centrismo» è montiano a Roma e lombardiano nella
Sicilia sull'orlo del default. E poi, è concepibile che a capeggiare la
«rivoluzione liberale» ci sia Raffaele Bonanni, il capo della Cisl che per storia
e formazione culturale con il liberalismo (e liberismo) einaudiano non ha
nessun rapporto e che si è opposto con tutte le sue forze alla riforma delle
pensioni varata dal governo Monti?
Oggi una formazione di centro potrebbe avere un notevole
spazio elettorale. Il Pd appare sempre più solo «sinistra», sempre più propenso
a un'alleanza con Vendola e incline a sposare una linea neo-socialdemocratica
ovviamente antitetica alla «rivoluzione liberale», ma soprattutto destinata a
una convivenza problematica con l'appoggio alla politica del governo Monti,
sinora sostenuto con lealtà e continuità. A destra il Pdl è ed appare incerto e
stordito, indeciso se consegnarsi nuovamente al carisma sia pur appannato di
Berlusconi o tuffarsi in un oltranzismo protestatario e rancoroso che esige la
rottura con il governo Monti sostenuto anche al prezzo della rottura con la
Lega. Il «Centro», in tutte le sue declinazioni, potrebbe risultare un'offerta
appetibile quando la sinistra e la destra radicalizzano il loro messaggio e si
affidano a un oltranzismo identitario che rassicuri il loro elettorato e
sciolga gli imbarazzi del sostegno al governo Monti, calamita di disagi sociali
inevitabili in una crisi così profonda dell'economia e della società. Ma basta
«non» essere di sinistra e «non» essere berlusconiani per apparire
un'alternativa credibile? Il «Centro» può essere soltanto, come chiedono
giustamente i firmatari della lettera al Corriere , il luogo dell'equilibrio,
la casa della moderazione, l'ideale di un'equidistanza che distolga dal gravoso
compito di dire che cosa esattamente bisognerebbe fare per spingere l'Italia
fuori dal pantano?
Queste incertezze non sono solo l'assillo di una porzione minoritaria
dell'opinione pubblica italiana. È un'intera porzione della nostra società che
stenta oggi ad essere rappresentata. Che si riconosce nello sforzo del governo
Monti e che vorrebbe trasformare il rigore da obbligo dettato da circostanze
eccezionali a scelta consapevole per qualunque governo «politico» in grado di
amministrare l'eredità di un governo «tecnico» senza sperperarne i risultati e
senza dilapidare il capitale di fiducia riconquistato, almeno in parte e mai
irrevocabilmente, nella comunità internazionale. Questa parte dell'Italia oggi
è senza voce politica e ancora non si vedono i contorni di chi potrebbe
chiederle la fiducia nella prossima tornata elettorale. Troppe contraddizioni,
troppi tatticismi, troppi comportamenti ondivaghi e anche opportunistici
indeboliscono la promessa di chi vuole proporre agli italiani una ricetta nuova
e diversa. Tanti piccoli «centri» destinati, in questo modo, all'irrilevanza. O
alla subalternità.
Pubblicato da Franco Frattini
il giorno 17.8.12. per la sezione
Punti di vista
.
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