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Sole 24 Ore/ Chi vuole un Quirinale debole?


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A questo punto la domanda è soprattutto una: può l'Italia, l'Italia delle istituzioni e della politica, accettare che il capo dello Stato sia indebolito nelle sue prerogative e via via svuotato, non tanto dei suoi poteri, quanto della sua capacità di rappresentare il punto di equilibrio del sistema? 

Mancano dieci mesi alla fine del mandato del presidente della Repubblica e la questione si delinea nella sua gravità. Come è evidente a tutti, il ruolo del Quirinale è cresciuto negli anni, ma in particolare è diventato essenziale nella seconda parte del mandato di Napolitano. Un ruolo decisivo in politica interna e anche in politica estera. 

Può non piacere, ma è così: man mano che il sistema dei partiti si avvita nella sua crisi senza uscita, si afferma il baricentro del Quirinale. Di fatto la presidenza della Repubblica è oggi il luogo intorno a cui ruotano gli assetti del paese. Lo si è visto con l' uscita di scena di Berlusconi, lo scorso novembre, e l' avvento di Monti. Ma la forza del Quirinale è anche la sua debolezza. Nel senso che Napolitano si è esposto molto come timoniere della nave Italia. Ed esponendosi ha prestato il fianco alla controffensiva di chi ha individuato quale gamba del tavolo tagliare. 

Rendere più fragile la presidenza, intaccare l'immagine del capo dello Stato presso l'opinione pubblica, metterlo sulla difensiva. Il gioco è fin troppo scoperto. Si può persino immaginare che, se non ci fossero state le telefonate con Nicola Mancino, si sarebbe trovato un altro pretesto. L' obiettivo era e resta quello di ridurre lo spazio di manovra del presidente e rendere molto più difficile per lui intervenire con successo nel dibattito pubblico: che si tratti di affrontare un passaggio politico scivoloso, decidere sulle elezioni anticipate o altro. 

In sostanza si tratta di spostare l'asse dei rapporti di forza e influenzare per questa via gli equilibri della Repubblica. Non è poco, in una stagione in cui la credibilità dei partiti continua a essere minima e l' attenzione dei cittadini è tutta per gli uomini delle istituzioni.
Questo è il nodo politico che s' intravede dietro il delicato problema costituzionale sollevato da Napolitano. Non una disputa con la procura di Palermo su quello che può apparire agli italiani un dettaglio minore (la mancata distruzione immediata di certe intercettazioni accidentali che riguardano il capo dello Stato); ma una questione centrale della democrazia, come ricordava sull' «Espresso» il costituzionalista Michele Ainis: «ogni abuso verso il capo dello Stato non colpisce la persona, bensì lo Stato di diritto». 

Napolitano non può accettare l' impoverimento delle sue prerogative soprattutto perché sa di dover consegnare al successore, nel maggio del 2o13, un Quirinale intatto e in grado di far fronte alle nuove responsabilità. Che saranno complesse, è facile immaginarlo, tali da richiedere un capo dello Stato ben consapevole della missione ricevuta dal Parlamento. Sappiamo quanto costò in passato a un predecessore di Napolitano, Francesco Cossiga, difendere se stesso e la presidenza da chi voleva incrinare gli assetti previsti dalla Costituzione. 

Lo stile di Napolitano è molto diverso, ma il problema si è di nuovo affacciato. Non solo a causa della procura di Palermo, ma anche di tutti coloro che assistono allo scontro stando alla finestra. In attesa di eventi. Ed è singolare, bisogna ammetterlo, il silenzio del vertice del Pd. Salvo due righe "elettroniche" di Enrico Letta, nessuno si è pronunciato. Ha parlato Casini in difesa di Napolitano, hanno parlato gli esponenti del Pdl (per chiedere di disciplinare le intercettazioni), ma il Pd di Bersani tace. 



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Pubblicato da Lucrezia Pagano il giorno 17.7.12. per la sezione , . Puoi essere aggiornato sui post, i commenti degli utenti e le risposte utilizzando il servizio di RSS 2.0. Scrivi un commento e partecipa anche tu alla discussione su questo tema.

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